Pagine Ebraiche agosto 2018
Una vittoria dal significato profondo

Strumento di integrazione, terreno di valori sportivi oppure arma politica e di propaganda? Sul numero di luglio di Pagine Ebraiche un ampio dossier dedicato ai Mondiali di calcio che erano allora in pieno svolgimento in Russia cercava di offrire una pluralità di spunti in tal senso ai nostri lettori.
Sul numero di agosto, in distribuzione, chiudiamo il cerchio con una lettura retrospettiva di quanto accaduto a Mosca. Una vittoria, quella della Francia, che ha finito “per rivestire un significato profondo per il pubblico ebraico così come per tutti coloro che non vogliono rinunciare né al grande spettacolo del calcio né ai valori della democrazia, del progresso, della libertà e della civile convivenza”.

Il bellissimo dossier dedicato ai Mondiali di calcio, che Adam Smulevich ha curato alla vigilia delle gare per il numero di luglio di Pagine Ebraiche mi ha offerto l’occasione di riproporre al lettore l’incanto delle cinque poesie dedicate al gioco del calcio che il poeta Umberto Saba aveva composto in una Trieste quantomai irrequieta e tormentata alla vigilia delle devastazioni delle leggi razziste antiebraiche e della guerra. Scorrendo quelle righe, i sentimenti di quelli che il sommo poeta del Novecento italiano descriveva come gli undici fratelli che spalla a spalla scendono in campo, apparivano definitivamente tramontati. Il grande calcio di oggi commercializzato dal mondo dello spettacolo e brutalizzato dalla grettezza e dalla violenza sembra proprio un pianeta diverso e l’incanto descritto da Saba solo un paradiso perduto.
Proprio sulle pagine di agosto del giornale ebraico dei bambini DafDaf curato da Ada Treves vediamo nitidamente come l’esito dei Mondiali 2018, con l’affermazione inattesa di una équipe francese che sembra sbucata all’improvviso per rilanciare i nostri sogni, ci abbia presi di sorpresa. Abbia dimostrato come in campo il vento delle emozioni possa cambiare repentinamente direzione e come nello spazio dei 90 minuti di gioco ci sia sempre la possibilità di riscoprire la speranza.
Questi Mondiali che hanno segnato, nell’assenza italiana, il mese di luglio, hanno infatti finito per rivestire un significato profondo per il pubblico ebraico così come per tutti coloro che non vogliono rinunciare né al grande spettacolo del calcio né ai valori della democrazia, del progresso, della libertà e della civile convivenza. A scendere in campo, più che il rimpianto e la nostalgia, è stato un barlume di qualcosa che è fresco e nuovo e antico al tempo stesso. Un respiro, un sentimento, che scavalcando gli spalti ci suggerisce qualcosa sul possibile futuro. Insomma, una speranza di star bene e di andare oltre al singolo momento di entusiasmo.
Giurista e instancabile attivista dei diritti dell’uomo, Francois Sureau assicura in modo convincente che l’affermazione della Francia ai Mondiali 2018 riveste un significato profondo. La sua analisi va molto al di là delle vicende calcistiche ed è affascinante. La vittoria della formazione francese, dice, riporta alla luce del giorno delle virtù antiche. La prima è quella della comunione nazionale, una maniera di stare bene assieme di tutti con tutti gli altri. Una sorpresa e un sollievo, forse solo momentaneo, forse invece più profondo, proprio per una società come quella d’Oltralpe dove l’integrazione e la convivenza sono apparsi in questi anni più volte difficili e dolorosi, talvolta quasi irraggiungibili.
In realtà è apparso in campo un nuovo disegno di gioco, fluido, capaci di mescolare l’attacco e la difesa, un gioco di solidarietà in cui si può essere eroi senza mai andare in rete, un gioco taoista dove il possesso della palla e la dominazione dello spazio non contano più, ma conta solo la folgorazione dell’istante finale, della mossa decisiva.
La seconda è quella del coraggio. L’ammirazione ritmata che racconta le gesta di giocatori usciti dal nulla e armati di una “forza d’urto bastarda” (il riferimento è alla meraviglia inattesa di Benjamin Pavard), non è quella dei brutali cori da stadio. Ma una citazione letteraria dalle gesta di Perceval e di Lancillotto narrate da Chrétien de Troyes. Re Artù e Merlino entrano in gioco per narrarci la magia di nuove leggende e perpetuare il fascino di quelle più antiche.
La terza virtù è quella della solidarietà. In un’Europa dove si fanno strada i nazionalismi e i populismi impegnati a evidenziare un’improbabile narrativa delle origini (i Celti, i Bretoni, la ridicola divinità del Po), i giocatori che hanno vinto sembrano più interessati dalla loro destinazione che dalla loro origine e hanno scelto di anteporre la volontà del loro obbiettivo all’accidente della loro nascita.
“Celebrando i Bleu – spiega Sureau – i francesi celebrano le promesse semplici e belle della Repubblica: il successo a prescindere dalle proprie origini, raggiunto con il lavoro, la fraternità, il giusto riconoscimento del talento di ognuno, l’amore del gruppo. La Repubblica nella sua essenza è una promessa, e anche se raramente mantenuta, questo non riduce il suo valore. Nei vincitori possiamo così trovare la realizzazione, ovviamente parziale e imperfetta, della promessa repubblicana”. E di nuovo un omaggio alla mitologia letteraria, quello dei moschettieri tutti per uno e uno per tutti.
“Ho seguito la finale – racconta oggi il giurista francese – assieme a molti rifugiati afghani, siriani, irakeni. Non celebravano i Blu solo per esprimere riconoscenza nei confronti del paese che li ha accolti, ma anche perché volevano vedere in loro la Repubblica in marcia, lo spazio dove si può diventare ciò che si è senza essere oppressi da forze esteriore. E questo è in fondo proprio quello che sono venuti a cercare”.
La quarta virtù è la modestia. Lo stile semplice e inconfondibile che ha segnato l’allenatore Deschamps. Libero dal narcisismo e dalla mitomania, è stato davvero un cittadino in campo, ha dato un corpo riconoscibile all’antiretorica e all’antipolitica.
L’esito dei Mondiali brilla come una grande occasione di riflessione per le minoranze e per l’Europa delle libertà, per chi è convinto che la sfida dell’immigrazione, se vogliamo un futuro, deve essere affrontata e vinta con il coraggio e non con la paura.
È stata una vittoria per gli ideali repubblicani e per l’Europa, ma soprattutto per i giovani. Chi l’ha festeggiata assieme ai francesi ha celebrato al tempo stesso la speranza di un mondo nuovo e il valore perenne dei valori della democrazia e della libertà.
Le cinque luminose poesie di Saba sono così tornate a palpitare dalle nuove pagine del nostro presente.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche agosto 2018