Vittorio Gesuà Sive Salvadori
(1931-2018)
Ci sono persone che quando se ne vanno lasciano un vuoto percepibile nella Comunità. Se è vero che ogni persona è un importante tassello di un insieme di anime che danno vita e forza a una congregazione, è anche vero che alcuni segnano più di altri, e la loro assenza si sente. Nella comunità ebraica di Venezia, nel suo ambiente urbano che si muove fra i campi e le calli dei ghetti, l’assenza di Vittorio Salvadori si sentirà. Ne è stato uno dei più conosciuti interpreti dei passati decenni, e ne conosceva ogni angolo. Un giorno mi indicò una rientranza alla base del muro esterno della Schola Levantina, il suo Tempio. Mi disse (in dialetto naturalmente, perché gli ebrei di Venezia sono parte del patrimonio anche linguistico della città): “Vedi qui? Questo buco l’abbiamo fatto noi ragazzi giocando con una grande boccia come a bowling, prima del bowling”. Nella sua giovinezza, assieme al fratello Marco a lui particolarmente legato e con il quale condivideva un carattere appassionato e focoso, aveva partecipato a tratti ad azioni di resistenza antifascista diffondendo la stampa clandestina. Subito dopo la guerra aveva poi messo a disposizione – giovanissimo – le sue competenze marinare e si era imbarcato per la Palestina a traghettare i profughi che andavano a fondare il nuovo stato e a combattere. Tornato a Venezia aveva preso in mano il negozio del padre conducendolo con il fratello e poi con i figli e nipoti. Il suo Tempio era quello della comunità Levantina, e le vicende della sua famiglia e di tutta la comunità sono ora ben descritte nei libri del cugino Edoardo Gesuà Sive Salvadori (l’ultimo, “L’albero del ghetto”, è edito da Giuntina nel 2016). Il suo servizio come Parnàs della comunità negli ultimi decenni è stato prezioso e indispensabile. Una presenza attenta e costante, a cura di un patrimonio rituale comunitario a cui Vittorio teneva moltissimo. Era lui a coordinare le mitzwòth, a vestire i sefarìm e a mettere al sicuro corone e rimmonìm dopo il digiuno di Kippùr. Una presenza viva, che interpretava l’anima profonda della comunità. Un amico che mancherà.
Gadi Luzzatto Voghera
(2 agosto 2018)