…Italia

I numeri di oggi: dal 2013 al 2017 è aumentata dal 3% al 35% la percezione che hanno i cittadini italiani sul tema dell’immigrazione come problema prioritario. Tutti gli altri indicatori (welfare, occupazione, ambiente, mobilità) sono rimasti più o meno stabili. 73%: è la percentuale di italiani che pensa che il suo paese è in declino (Germania 47%, Regno Unito 57%). 69%: gli italiani che pensano che gli immigrati vadano respinti o che al massimo vadano accolti i perseguitati politici. 38%: gli italiani che si dicono d’accordo con la frase “Gli immigrati stanno rovinando le nostre tradizioni e la nostra cultura”. Si tratta di alcuni dei dati che emergono dal sondaggio che la Fondazione CDEC assieme a Ipsos aveva compiuto per ragionare sul pregiudizio e sull’antisemitismo in Italia nel 2017. Come appare evidente, dire che il razzismo in Italia non esiste è assurdo. Non esiste una società immune da questo sentimento sociale, e non si tratta di un fenomeno solo occidentale, ma riguarda tutti. In Italia (un paese che ha prodotto in un passato non lontano una legislazione apertamente razzista) è però molto forte una forma di autorappresentazione che ci vede migliori, più bravi degli altri. In fondo siamo brava gente, naturalmente solidale, e se si registrano degli episodi di intolleranza questi vanno relegati al più nella sfera della piccola criminalità di strada. Non è così. Il razzismo è presente, gli indicatori ci dicono che è in crescita, e di conseguenza siamo di fronte a una questione che assume carattere politico. In un’epoca in cui le forze politiche sono più attente ad assecondare il diffuso sentimento popolare che non a progettare strategie socio-economiche di lungo periodo, il razzismo/propaganda assume una posizione centrale. Non leggi discriminatorie (che per fortuna i nostri padri costituenti hanno costruito una barriera piuttosto solida), ma piccole gocce di violenza quotidiana per far sentire a disagio chi ha avuto la ventura di nascere con la pelle colorata o indossa un turbante o una kippah. Si tratta di un fenomeno che va contrastato a viso aperto e denunciato, e chi ha responsabilità di governo ha il dovere di intervenire per rendere visibili e chiari i confini della legalità. Uno Stato che rinuncia al monopolio della violenza e la lascia esprimere senza freni (in diverse forme, compresi gli eccessi verbali sui social media), è un organismo che sta aprendo la strada alla sua autodissoluzione.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC