Israele Stato nazionale ebraico
Una legge importante
La Legge fondamentale “Israele come Stato nazionale del popolo ebraico” adottata dalla Knesset il 19 luglio 2018 non merita le critiche di cui, soprattutto in chiave politica internazionale, è stata fatta sommariamente oggetto. Un esame attento delle sue disposizioni conferma che essa si colloca nel solco della realizzazione del sogno sionista con la costituzione dello Stato nel 1948 e nella direzione tracciata dalla Dichiarazione d’Indipendenza.
Non può essere messo in dubbio, come sancito nei due principi fondamentali espressi all’art.1 che “la terra d’Israele è la patria (homeland) storica del popolo ebraico dove è stato costituito lo Stato d’Israele” e che esso “è la patria (home) nazionale del popolo ebraico in cui esso realizza il suo diritto naturale, culturale, religioso e storico alla autodeterminazione.” Con questa proclamazione Israele si afferma come stato nazionale non tanto della nazione israeliana ma del popolo ebraico, in una dimensione storico-nazionale fondamentale che non è dissimile da quanto proclamano altre costituzioni di paesi in cui la realizzazione del proprio stato è stato oltremodo difficile, come è il caso dei paesi baltici.
Dalla proclamazione del carattere nazionale ebraico dello Stato d’Israele discendono logicamente le norme sui simboli dello Stato (nome, bandiera, il candelabro a sette braccia come emblema, Hatikvah come inno; la capitale (Gerusalemme indivisa); l’ebraico come lingua nazionale, fatto salvo uno speciale status della lingua araba; il calendario ebraico come quello ufficiale accanto al gregoriano; i giorni di festa nazionale, il sabato e le feste d’Israele come giorni di riposo (impregiudicato il diritto dei non ebrei di osservare i propri giorni di riposo settimanali e festivi). Molte di queste disposizioni si trovano già in leggi precedenti ma non erano inquadrate come espressione organica della natura di Israele come Stato nazionale del popolo ebraico a livello costituzionale.
È ben vero che molte costituzioni democratiche europee, così quella italiana del 1948, non proclamano, per esempio, che l’Italia è lo stato nazionale del popolo italiano e che l’italiano è la lingua nazionale (però la nostra Costituzione “tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”). Vi sono però paesi dove la costituzione definisce una lingua come nazionale (la Spagna), che menziona che lo stato è la realizzazione del diritto all’autodeterminazione della nazione (Slovacchia), mentre in ben sette paesi europei la costituzione riconosce l’esistenza di una religione ufficiale.
La Legge fondamentale, che come tale ha un valore costituzionale e si colloca accanto alle altre dodici così definite, emanate a partire dal 1958, che suppliscono alla mancanza in Israele di una costituzione organica, è importante anche per quello che non dice. La Legge anzitutto non definisce quale sia il territorio dello Stato in cui si realizza l’autodeterminazione. Resta così anche spazialmente indefinito l’ambito dell’art.7 “lo Stato considera lo sviluppo dell’insediamento ebraico (jewish settlement) come un valore nazionale e agirà per incoraggiare e promuoverne la realizzazione e il consolidamento”. La Legge non contiene infine nessun riferimento alla religione o alle autorità religiose, né contiene a una definizione di ebreo o di popolo ebraico, men che meno in chiave religiosa. La Legge si muove nell’ottica di una dimensione collettiva e nazionale, lo stesso termine di ebreo appare solo di sfuggita. Un elemento questo di unità contro ogni esclusione.
La Legge è infine importante perché sancisce a livello legislativo il rapporto tra Stato d’Israele e Diapora, su un piano nazionale, sociale, culturale, sfuggendo alle insidie di un collegamento statalistico (come sarebbe la concessione della cittadinanza israeliana) o religioso (nessuna definizione in chiave religiosa di chi appartenga al popolo ebraico).
Dopo aver proclamato all’art.5 (“Ritorno degli esiliati”) che “lo Stato sarà aperto all’immigrazione ebraica e al ritorno degli esiliati”, materia su cui già dispone la legge del ritorno del 1950, l’art.6 (“Collegamento col popolo ebraico”) sancisce che Israele si impegnerà ad assicurare la sicurezza dei membri del popolo ebraico in pericolo a causa del loro essere ebrei; agirà nell’ambito della Diaspora per rafforzare l’affinità tra Israele e i membri del popolo ebraico; opererà per preservare il patrimonio culturale, storico e religioso del popolo ebraico tra gli ebrei nella Diaspora. Si tratta di un riconoscimento innovativo che impegna lo Stato d’Israele in prima persona alla salvaguardia degli ebrei nella Diaspora e del loro ebraismo, passando sopra, si può dire, a collegamenti più particolari, come adesione al sionismo, o a requisiti religiosi, fonte inevitabile di lacerazioni e polemiche viste le posizioni di chiusura del rabbinato ortodosso d’Israele che trovano nella Diaspora, soprattutto quella americana, forti critiche e opposizioni.
Manca però nella Legge del luglio scorso un elemento importante: nel momento in cui si proclama che Israele ha un carattere nazionale ebraico era opportuno ribadire che l’appartenenza o no al popolo ebraico, l’essere cioè ebrei, non può portare ad alcuna discriminazione in tema di riconoscimento dei diritti fondamentali ai cittadini israeliani non ebrei, siano essi arabi, drusi, immigrati russi non ebrei o chiunque altro. È vero che di per sé la Legge non implica alcuna discriminazione o restrizione dei diritti di qualsiasi cittadino israeliano per questo motivo. È anche vero che la Dichiarazione d’Indipendenza del 1948 impegna lo Stato a “creare uguaglianza completa di diritti, sociale e politica, per tutti i suoi cittadini, senza distinzione di religione, razza o sesso, e ad assicurare libertà di religione, coscienza, lingua, educazione e cultura”.
Al momento di formalizzare e rafforzare la natura ebraica dello Stato d’Israele sarebbe stato però opportuno ribadire l’altro pilastro del binomio di “Israele stato ebraico e democratico” proclamato nella Dichiarazione d’Indipendenza, cioè quello della tutela dei diritti fondamentali di tutti i suoi cittadini, ebrei o no.
Giorgio Sacerdoti, giurista
(5 agosto 2018)