Cento anni d’Università Ebraica, il segno di rav Umberto Cassuto
Furono le Leggi razziste promulgate dal fascismo nel 1938 a spingere una delle più fervide menti del suo tempo verso Gerusalemme. Rabbino, storico ed ebraista di fama internazionale, il fiorentino Umberto Cassuto caratterizzò profondamente l’ambiente culturale in cui si trovò ad operare. In cattedra al Collegio Rabbinico Italiano, di cui fu anche direttore. Ma anche in qualità di docente nelle Università di Firenze e Roma. O come socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei. Un’autorità mondiale nel campo degli studi biblici. Con l’entrata in vigore delle Leggi antiebraiche Cassuto che è stato anche rabbino capo a Firenze, incarico poi assunto in futuro dal figlio Nathan, membro attivo della Delasem e poi vittima della Shoah è costretto a fare le valigie: arriva a Gerusalemme nell’estate del ’39, insieme alla moglie Bice Corcos e alle figlie Milka e Lea. Ed è là, fino alla scomparsa nel 1951, che “trova l’ambiente adatto per continuare, praticamente senza interruzione, la sua attività di professore universitario e di ricercatore, inserendosi nell’élite culturale ebraica del paese e riuscendo a fornire il suo contributo” come ha scritto Ariel Viterbo in un suo saggio contenuto nel volume monografico della Rassegna Mensile di Israel dedicato alla figura del grande rabbino e intellettuale.
All’Università Ebraica, il 15 novembre dello stesso anno, pronunciò la prolusione al suo corso dal titolo “Il nostro compito nella scienza biblica”. Presenti in sala, come è stato ricostruito, le massime cariche accademiche, il presidente dell’Università Judah Leon Magnes, il presidente del consiglio esecutivo Zalman Schocken e il rettore Abraham Halevi Fraenkel. Un intervento, quello di Cassuto, in cui emerge “l’emozione del nuovo professore al primo contatto con l’ambiente nel quale eserciterà il suo incarico”.
Un triplice compito, segnala Viterbo, lo attendeva nell’Università Ebraica: svolgere una ricerca “fondata su una comprensione profonda dello spirito della nazione e recante impresso il suo chiaro suggello”; integrare la ricerca biblica “con lo studio dell’Oriente antico, in particolare nel suo rapporto con la Bibbia”; seguire “la via dell’interpretazione scientifica della Bibbia alla luce del materiale della tradizione antica che potremo attingere dalle grandi ricchezze della nostra letteratura postbiblica”. Missione e invocazione di una protezione speciale: le parole con cui conclude il suo intervento hanno infatti il tratto della preghiera: “Sia la Sua volontà che, come i libri della Bibbia sono stati fonte di benedizione per i nostri padri, così possano essere fonte di benedizione per noi e per i nostri figli e per i figli dei nostri figli”. Per dodici anni, da allora, Cassuto darà un contributo formidabile. Anche nel segno di metodi fortemente innovativi. “Da un lato la sua preparazione rabbinica, il suo vivere da ortodosso, la sua opposizione alla teoria documentaria della composizione dei libri della Torà gli permisero di essere accolto favorevolmente nell’ambiente tradizionalista di Gerusalemme. D’altra parte spiega Viterbo Cassuto si considerava uomo di scienza, e quindi tenuto a seguire le regole della moderna ricerca biblica”. Rispettava la ricerca biblica europea, pur non condividendone tutte le conclusioni, “e non era vincolato dall’obbligo di seguire le interpretazioni tradizionali”. Ha osservato al riguardo Alberto Cavaglion, in suo contributo per il portale dell’ebraismo italiano www.moked.it: “La grandezza di Cassuto consiste nel suo tentativo, soprattutto nel primo periodo, di percorrere una via mediana”. So bene, aggiungeva Cavaglion, “che non è lecito conciliare l’inconciliabile e nell’interpretazione della Scrittura una terza via non è praticabile, ma per natura provo sempre una umana tenerezza, una simpatia verso coloro che, come Cassuto, si sono formati nell’età del modernismo, età nella quale si rispecchiarono i migliori figli del ghetto”. Nel ’51, compiuti 68 anni, Cassuto sarebbe dovuto andare in pensione. Ma lo studioso accetta di proseguire l’insegnamento per un ulteriore anno. A novembre gli viene chiesto di continuare fino al ’53. Nel frattempo muore. Il suo segno, il suo contributo, il suo metodo, restano però indimenticabili. Tra i campi d’indagine in cui particolarmente si affermò, riconosce l’Enciclopedia Treccani nella voce a lui dedicata, Bibbia e vari temi di studi giudaici, specialmente la storia dell’ebraismo in Italia. In quest’ultimo campo, si ricorda, pubblicò su La Rivista israelitica, che dirigeva dal 1904, una serie di articoli sulla storia dell’ebraismo in Italia, culminata nello studio Gli ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento. Nel 1920 gli valse il premio dell’Accademia dei Lincei.
Adam Smulevich, Pagine Ebraiche Agosto 2018