Periscopio – L’odio contro Israele
Ho già avuto modo di commentare la perfida e serpentina astuzia con cui l’antisemitismo mondiale, a partire dal 1967, ha trasformato il piccolo e coraggioso Israele, Davide aggredito da nemici cento volte più forti e numerosi, nel grosso e violento Golia, contrapposto al nuovo, minuscolo Davide-Palestina, fragile e indifeso (anche se non propriamente inoffensivo). I vecchi nemici di sempre, giocando abilmente a nascondino, si sono nascosti dietro il pargolo, e fanno finta di essersi dileguati nel nulla, e il nuovo Davide, qualsiasi cosa faccia, non può non essere, sempre e comunque, innocente. Più che normale, perciò, che il nuovo simbolo degli odiatori di tutto il mondo sia il volto grazioso di una ragazza diciassettenne dagli occhi di ghiaccio, che, picchiando soldati nemici armati fino ai denti, riscatta l’onore del suo popolo oppresso.
Un soldato ebreo, che difende uno Stato ebraico, è un ossimoro, e chi lo colpisce ripristina l’ordine naturale. E se a farlo è una ragazzina – degna figlia di una madre orgogliosa, che si rammarica del numero troppo esiguo dei corpi dilaniati da una bomba in un ristorante – è il massimo. Il suo successo mediatico è fin troppo scontato. Qualche mese di prigione, poi, non poteva non farne una star internazionale, ovvio che tutti i giornali del mondo facciano la fila per intervistarla. Lei non si nega, e dice di volere rendere giustizia a tutti i bambini palestinesi, vittime di ingiustizia come lei. Lei è piccola, inerme, ma rappresenta soggetti ancora più piccoli e fragili di lei, così come il soldataccio israeliano da lei giustamente picchiato rappresenta un esercito potentissimo, zeppo di cingolati, caccia bombardieri, bombe atomiche. La sproporzione di forze tra Davide e Golia viene esaltata alla millesima, milionesima potenza, mai visto, nella storia, qualcosa di simile.
Che dire? Nulla, solo due domande, a proposito dell’unico, vero protagonista di tutto ciò, che è l’odio.
La prima domanda riguarda la possibilità di analizzare l’odio secondo le categorie della medicina. È contagioso, come una malattia infettiva. Può avere lunghe incubazioni, prima di manifestarsi. Ha i “portatori sani”. Cresce e divora come un cancro. È un morbo autoimmune. E, soprattutto, pare spesso una malattia genetica, ereditaria, per la quale la parentela assume un’importanza essenziale (madre e figlia…). Mi rendo conto che quest’idea può apparire razzista, ma allora anche la natura lo è. Sono i medici a chiederci quanti casi di infarto o di neoplasia contiamo in famiglia, per poi dirci quanto siamo soggetti a rischio. Solo che noi – a differenza della giovanissima giustiziera – non ci rallegriamo delle malattie dei nostri genitori.
Sì, l’odio somiglia, decisamente, a una malattia. Ma è una malattia particolare, dalla quale, molto spesso, i pazienti non hanno la minima intenzione di curarsi. E perché dovrebbero, poi? Non solo di odio non si muore, ma esso può dare un senso alla vita, può elargire fama, gloria, successo.
La seconda domanda – che mi è capitato di pormi molte volte in vita mia – è cosa sia il contrario dell’odio, cosa si possa utilmente contrapporre ad esso. Certamente non l’amore, che all’odio, tante volte, appare alquanto vicino, o simile. Forse (omeopaticamente) altro odio, odio dell’odio? Per carità, ce n’è già fin troppo. E neanche la parola ‘bontà’ mi pare adatta, così retorica e melensa. Forse l’indifferenza? Non direi, non è il contrario di niente. La razionalità? Questa, forse, sì, perché l’odio è certamente irrazionale. Ma oggi mi verrebbe da dire, soprattutto, tristezza. Di fronte al bel viso della giovane ‘Davida’, e al suo immenso oceano di odio, non ho da contrapporre nulla, all’infuori di una minuscola goccia di tristezza. Che, ovviamente, non è una medicina, e non cura nulla.
Francesco Lucrezi
(15 agosto 2018)