“Bici, la mia rivoluzione radicale”
“Premetto subito che mi fa molto piacere questa intervista. Se però cercate storie di sport, nel senso vero del termine, sbagliate strada. Non ho muscoli, non ho grandi imprese da raccontare. Sono soltanto un ingegnere…”. Un ingegnere che però ha letteralmente rivoluzionato il modo con cui oggi ci rapportiamo con la bicicletta. Nato a Buenos Aires nel 1944, ma ormai italiano d’adozione, Pedro Kanof è infatti l’inventore del bike sharing. Ormai qualche decennio fa, in un’epoca in cui di “risparmio energetico” si iniziativa a parlare sempre più diffusamente, l’intuizione che modifica l’approccio con un mezzo considerato allora appannaggio di una ristretta cerchia di cittadini (anche per i costi, allora meno alla portata di oggi). Un modello che è oggi imperante in molte città d’Europa e del mondo. Di bike sharing si parla un po’ ovunque e tante bici colorate ormai appaiono da tempo in bella mostra nelle piazze da Nord a Sud dello Stivale. Soddisfatto, quindi? “No, non più di tanto” ci risponde Kanof, che oggi vive in pianta stabile a Milano e che è arrivato una prima volta in Italia a metà degli Anni Settanta, fuggendo dal suo paese natio per via delle atrocità compiute dal regime di Ongania contro gli oppositori (“Io ero uno di questi, uno dei tanti ebrei argentini che lottò per la democrazia”). Motivo di questa insoddisfazione è nella miopia che a suo dire amministratori e industriali starebbero dimostrando nell’affrontare un tema complesso ma urgente quale la mobilità sostenibile. Un tema sulla bocca di tanti, “ma non nel modo corretto”. Tante belle parole, ma – incalza l’ingegnere – pochi impegni davvero incisivi. “Serve una rivoluzione radicale, una sensibilità completamente diversa sul tema. Credo però che non la troverò nei politici, che pure incontro molto spesso in tutta Italia. Incontri piacevoli, per carità, ma è necessario volare un po’ più alto” ci dice Kanof. La “rivoluzione radicale”, che è stata brevettata e presentata a grandi investitori stranieri, parte da una domanda apparentemente banale. Oggi ormai moltissime famiglie posseggono delle bici, che però spesso restano allucchettate in garage. “Perché non le si usano?” si chiede Kanof. Il motivo, sostiene, è di natura psicologica.
“Ce lo insegna con i suoi studi, già a metà degli anni Cinquanta, lo studioso italo-americano Franco Nicosia a Standford: con il suo libro Consumer behaviour ha inaugurato gli studi sulla materia, diventandone indubitabilmente il maestro (tra l’altro è stato il mio sponsor alla School of Business a Berkeley). La ricetta è semplice: bisogna che la gente si senta motivata e sicura ad usare le bici. Le deve vedere, percepire, riconoscere. Allo stesso modo in cui oggi il proprietario di un automobile, affacciandosi dalla finestra di casa, vede il suo mezzo”. Punto di partenza del progetto di Kanof sono quindi parcheggi elettronicamente attivi e protetti, posti a ogni angolo della strada. E con la possibilità di reperirvi, oltre al proprio, anche mezzi di trasporto messi a disposizione da altre società da incorporare eventualmente nell’iniziativa: cargo bike, bici elettroniche, bici con tettuccio. “La mia prospettiva di lavoro – prosegue Kanof – è nel trasporto urbano e suburbano. E sulla strada, non nelle piste ciclabili che considero una forma moderna di ghettizzazione che non aiuta certamente a crescere. In strada servono più bici, e una massa critica più significativa a sostegno. Più bici in strada, più massa critica, obbligherebbero le automobili ad andare più piano, con benefici facilmente immaginabili. E ci possiamo arrivare grazie a un forte investimento tecnologico, non con le bici colorate che basta un camioncino a portarsele via e tanti saluti, come accaduto tra l’altro dieci anni fa in Germania. La sostenibilità è o almeno dovrebbe essere un orizzonte imprescindibile. Ne va del nostro futuro”. Naturalmente, aggiunge, non sarà semplice raggiungere l’ambizioso risultato che si è posto. “È facile immaginare le resistenze di chi produce automobili e di tutta la filiera. Certamente non gli sto simpatico, ma pazienza. Io vado avanti…” sorride Kanof. Si fa invece più serio quando parla di sicurezza, che è “la” preoccupazione per antonomasia quando si parla di mobilità a pedali. “In Italia, investito da un mezzo motorizzato, muore in media quasi una ciclista al giorno. È evidente che, se quel che sogno si realizzasse, questa statistica avrebbe una considerevole flessione”.
Adam Smulevich, Pagine Ebraiche luglio 2018
(19 agosto 2018)