…Riace
Riace, oltre che per gli splendidi bronzi, sta diventando un modello di convivenza famoso in tutto il mondo. Ammirato in tutto il mondo fuorché in Italia.
Nel 1998, sulla costa ionica calabrese sono sbarcate ottocento persone, immigrati dall’Afghanistan e dall’Iraq, e il borgo ormai fantasma di Riace ha cominciato a risvegliarsi alla vita. Riace ha deciso per l’accoglienza e non per il campo profughi o per il ghetto. Così, attività morte da anni hanno riaperto. Hanno riaperto case, scuole, negozi, ristoranti. Si sono riaperti all’uso e alla vita un centinaio di appartamenti, sono stati avviati corsi di lingua italiana per gli immigrati, grazie ai quali tanti insegnanti hanno trovato lavoro. Insomma, l’economia si è rimessa in moto, e a Riace è tornata la vita, ma soprattutto la speranza.
Il sindaco illuminato di Riace, Domenico Lucano, già a capo dell’associazione Città Futura, dedicata a don Giuseppe Puglisi, è stato inserito da Fortune Magazine fra i cinquanta leader più influenti del mondo. Ma in Italia non se ne parla molto, anzi, se ne parla il meno possibile. Si ha infatti la strana sensazione che, per la politica dell’esclusione e del respingimento, Riace non sia un modello da proporre e da propagandare. Riace è un esempio pericoloso. Il comune calabrese comincia allora ad avere le prime pesanti difficoltà. I fondi europei destinati ai progetti di accoglienza dei migranti vengono bloccati dal ministero e dalla prefettura; per protesta il sindaco inizia lo sciopero della fame. Nel mondo si avvia una raccolta fondi per non far morire l’iniziativa.
C’è chi vede in Riace un esempio pericolosissimo di accoglienza e di integrazione che qualche altro borgo morente in Italia potrebbe essere tentato di imitare. E scegliere l’accoglienza contro il respingimento, l’inclusione contro l’esclusione, la vita contro la morte, è un messaggio che proprio non si gradisce in questi giorni, in Italia. Non è nelle corde di chi governa. Così di fronte a Riace si chiudono gli occhi, meno se ne parla meglio è.
Ora, del progetto si sta occupando anche la Procura di Locri, per indagare su presunte irregolarità amministrative e su conflitti di interesse. La giustizia, ovviamente, deve fare il suo corso, e se irregolarità ci sono state nella gestione di appalti e assegnazioni queste vanno perseguite. La legge va rispettata da tutti, e i fondi pubblici dovrebbero essere usati con correttezza e trasparenza da tutti; ci si aspetterebbe tuttavia che a rispettarla fossero grandi e piccini, istituzioni di governo non meno di quelle comunali. La legge non è fatta solo per i vasi di vetro e di terracotta.
Riace, alla fine, è in dissesto finanziario. Molti sindaci, fra i quali quello di Ginevra si sono schierati a fianco del sindaco di Riace perché il ‘modello Riace’ non muoia.
Nel nostro piccolo, ammirati dall’esperimento calabrese – che sarebbe bello non fosse un caso isolato assurto ad emblema – auspichiamo che Riace non muoia e con esso, magari, i mille borghi abbandonati in giro per il nostro paese, per affermare il valore della solidarietà, e perché prevalga l’umanità sulla disumanità.
Perché “ho posto di fronte a te la vita e la morte, la benedizione e la maledizione, e sceglierai la vita” (Devarim 30:19).
Qualcuno sospetterà, spaventato, che si mettano a rischio identità particolari. Qualcuno sospetterà che la globalizzazione culturale disgreghi specifici legami sociali. Ma una classe di governo che si rispetti saprà conciliare la diversità delle identità culturali con lo spirito della coesistenza e della convivenza. Nell’epoca vittoriana la si chiamava ‘separateness and communication’. Siamo nel Duemila, se vogliamo illuderci di star costruendo il progresso e non il regresso dovremmo saper fare anche qualcosa di più.
Dario Calimani, Università di Venezia
(21 agosto 2018)