Ticketless – Buoni?

alberto cavaglionSiamo ancora «brava gente»?, si chiede Giuseppe De Rita in un editoriale sul Corriere (7 agosto). La tensione sui profughi sta cambiando il nostro carattere? Nell’Italia che nei giorni bollenti dell’estate lascia per giorni al largo dei porti barche cariche di neonati e donne partorienti, dobbiamo rassegnarci alla supremazia di un egoistico rifiuto degli «altri da noi» («prima gli italiani»)? Il tema ci interessa, per ovvie ragioni. Non si sa mai, potremmo sempre avere bisogno di quel carattere «bonario e accomodante che ci ha fatto compagnia per secoli», cui si riferisce De Rita appoggiandosi a un famoso saggio di Giulio Bollati troppo spesso dimenticato da chi s’interroga sui percorsi biografici dei Giusti. Quello del «bravo italiano» è un problema intrinseco alla Shoah in Italia, ma rimane un mito. Studiare a fondo, nei suoi risvolti più profondi, il carattere nazionale invece può aiutarci a comprendere perché tanti Salvati ieri (e, forse, perché così pochi Salvati oggi). De Rita riscontra una frattura rispetto alla società benevolente che si leggeva in filigrana nella struttura dei Promessi sposi, fonte alla quale s‘era appellato Bollati, ma anche Primo Levi nel suo confronto tra italiani e tedeschi (difendendo la bontà dei primi). Certo, anche il fronte dei Buoni ha le sue macchie, che hanno facilitato il recente trionfo politico degli Egoisti. Troppo isolati e poco ascoltati sono i dissenzienti. Ticketless si era già occupato di uno di loro, Luca Rastello, e del suo saggio I buoni uscito nel 2013, quando era difficile prevedere la catastrofe elettorale del 2018. Converrà adesso rileggerlo quel libro e meditarci sopra. In questi giorni, lo stesso editore (Chiarelettere) manda in libreria, curato dalla moglie Monica Bardi, il romanzo postumo di Luca (Dopodomani non ci sarà), una critica spietata sulla condizione del malato nell’Italia odierna. Tre anni fa, dopo una lunga malattia Luca ci ha lasciato. Non è questa una lettura consigliabile a chi sia passato o stia passando dentro dolori e separazioni così terribili. Avevo conosciuto Luca, giovanissimo, in quella straordinaria fucina di menti libere ed eretiche che era la redazione milanese di Linea d’ombra. A costo di apparire retorico vorrei qui ricordarlo come un esempio di quegli uomini, semplicemente uomini, normali, che nel tempo hanno imparato a non cercare più alte identità ma hanno denunciato il male anche quando s’annida nel bene. Ricordare il loro lavoro invita a non disperare nel futuro. Non praevalebunt.

Alberto Cavaglion

(22 agosto 2018)