…rettori

Tema: Il prossimo 5 settembre al parco di San Rossore a Pisa si svolgerà una cerimonia che vedrà ottanta rettori delle università italiane avanzare “scuse solenni” per l’espulsione dei docenti e degli studenti ebrei dall’accademia nel settembre 1938. Esponi brevemente gli eventi storici a cui si riferisce l’evento ed esprimi un giudizio personale.
Svolgimento: I fatti sono noti, ma vale la pena ricordarli brevemente. Dal 1935 il regime fascista decise di attuare in diverse forme una politica razzista. In un primo tempo questo percorso venne considerato funzionale all’imperialismo nel continente nero (conquista dell’Etiopia). In seguito si elaborarono campagne propagandistiche nelle quali non solo il concetto di pura razza italica divenne sempre più centrale, ma a questo si associò una crescente polemica antisemita. Pubblicazioni di libri, infittirsi di articoli di giornale, una progressiva emarginazione del personale di origini ebraiche dalla pubblica amministrazione furono gli strumenti che prepararono la svolta del 1938. La china degli eventi fu rapida e coerente. Si iniziò con la pubblicazione del “Manifesto degli scienziati razzisti” (15 luglio), a cui seguì (17 luglio) l’istituzione dell’ufficio speciale denominato Demorazza (Direzione generale per la demografia e la razza). Quindi la fondazione di una rivista propagandistica specifica, “La Difesa della Razza”, diretta da Telesio Interlandi, pubblicata a partire dal 5 agosto e fortemente “spinta” come lettura suggerita alle scuole dal Ministro dell’educazione Giuseppe Bottai, forse il più attivo in quella prima fase. Il 22 agosto si procedette al censimento degli ebrei. A inizio settembre il Consiglio dei ministri approvò i primi decreti legge riguardanti l’espulsione dall’Italia degli ebrei stranieri e i “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” (R.d.l. 5 settembre 1938 n.1531). 96 professori universitari ordinari e straordinari, 133 aiuti e assistenti e decine di incaricati e lettori universitari persero il lavoro; vennero revocate oltre 200 libere docenze. Circa 1500 studenti non poterono più frequentare gli atenei. “Supponiamo – scriveva Giorgio Almirante su ‘La Difesa della Razza’ – che, per dannata ipotesi, non un assistente, non un incaricato, non un libero docente sia in grado di salire su una di quelle 98 (numero errato NdR) cattedre. Ebbene? Avrà perduto qualcosa per questo la nostra cultura? No, perché quei 98 professori erano ebrei, quindi non erano italiani”.
Questi i fatti. La cerimonia con la quale i rettori delle università si fanno carico di questo passato è nel contempo encomiabile e – per loro stessa ammissione – tardiva. Tuttavia va colta come un’opportunità, e per questo motivo mi permetto di sottolineare alcuni punti che mi sembrano decisivi se si vuole – come pare – rifuggire da un momento di pura retorica celebrativa e inoltrarsi in una riflessione contemporanea sul significato degli avvenimenti di ottant’anni fa. Primo punto: le “scuse”. Chiedere scusa comprende due passaggi: l’identificazione di un soggetto a cui rivolgersi e – specialmente in un paese cattolico – la richiesta di “perdono”. Va da sé che il perdono non è dato: i soggetti espulsi (docenti e studenti) sono morti da tempo (alcuni deportati nei campi di sterminio) e quindi nessuno può esprimersi in loro vece. E in ogni caso i rettori di oggi non sono responsabili degli atti dei loro predecessori. Ma le scuse le si avanza a chi? Alle comunità ebraiche? Alle famiglie? In linea generale ci può stare, ma a me pare che se scuse ci devono essere, queste debbano rivolgersi innanzitutto al sistema universitario italiano, che subì il danno più duraturo ed evidente. L’Università italiana si privò con un atto di autolesionismo di intelligenze e competenze straordinarie, a volte rinunciando a interi settori di ricerca come il campo della fisica nucleare. Accettando pedissequamente i provvedimenti di espulsione, gli allora rettori e i loro colleghi docenti compirono volontariamente e volonterosamente un attacco diretto all’intero sistema di ricerca del Paese. Questo mi sembra (al di là del giusto e doveroso ricordo di chi venne espulso) il tema principale. Che è un tema molto contemporaneo: un Paese che invece di valorizzare le competenze le categorizza decidendo quali sono legittime e quali no (immigrati vs. autoctoni, neri vs bianchi, stranieri vs locali ecc.) è un Paese che si chiude e attenta alle proprie risorse su basi ideologiche ingiustificate e foriere di disgrazie.
Secondo punto: noi e gli altri. Almirante teorizzava su “La Difesa della Razza” un’idea ancora molto presente nella società italiana. Quei professori espulsi erano ebrei e quindi “non italiani”. Si tratta di un sentimento diffuso come pregiudizio (e quindi una malattia) a vari livelli, ma che per l’Università italiana assume un valore di cui gli ottanta rettori sono chiamati (loro sì, e oggi!) a rispondere. Perché in Italia, unico paese nel mondo occidentale, non esistono corsi di studio di Jewish Studies, di storia della civiltà ebraica? Perché lo studio della lingua ebraica è collocato fra le “lingue orientali”, mentre è ampiamente nota la ricchissima produzione di intere biblioteche di testi in ebraico scritti da ebrei italiani nella Penisola dal IX secolo fino al XIX secolo (mille anni di letteratura prodotta in Italia e in Italia non studiata!)? Il punto è – mi permetto di rivolgermi ai rettori – che il sistema universitario italiano considera da molto tempo (e il fascismo in questo ha aiutato) il mondo ebraico come estraneo e non come elemento costitutivo della civiltà italiana. La persistenza di questa visione, la mancanza di un impegno programmatico di ricerca e docenza nel lungo periodo che dia finalmente legittimità accademica a un settore colpevolmente considerato esterno alla cultura di questo Paese, rischia di rendere l’encomiabile iniziativa voluta dai rettori il prossimo 5 settembre a Pisa un episodio lodevole, ma scarsamente efficace.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC

(24 agosto 2018)