Il raglio di furore
Alcune considerazioni, in attesa che il declino dell’estate apra a nuove prospettive, partendo dai temi che affolleranno la comunicazione pubblica. In ordine di successione:
1) si sta ampliando lo spazio del sovranismo, quella posizione politica che ritiene che le risposte ai problemi delle nostre società vadano cercati nella riaffermazione della sovranità nazionale come principio esclusivo ed insindacabile;
2) il sovranismo non è solo il vecchio nazionalismo sotto nuove spoglie ma una visione, non importa quanto coerente o applicabile, del rapporto tra territori, collettività e diritti: la fruizione di questi ultimi è vincolata dall’appartenenza ad una collettività definita essenzialmente in base alla sua collocazione spaziale;
3) il sovranismo può anche avere in certi casi connotazioni razzistiche ma non opera distinzioni di principio sugli esseri umani se non in base al fatto che essi siano parte stabile (inversamente: non lo siano) del territorio sul quale intende esercitare la sua sovranità d’imperio;
4) come tale, ritiene che i diritti universali non esistano, se non come vuote declamazioni formalistiche; semmai ristabilisce il rapporto diretto, ossia immediato, tra “suolo”, “identità” e norme: se non appartieni ad un certo territorio (per origine o per acquisizione, ma in questo secondo caso poiché hai la capacità economica di “acquistare” l’origine che – altrimenti – continuerai a non avere) non potrai mai godere di tutele umanitarie, e ancor meno di diritti sociali, civili e politici;
5) il sovranismo subentra alla crisi irreversibile sia delle democrazie sociali, e quindi dei sistemi di redistribuzione della ricchezza socialmente prodotta, sia di quelle liberaldemocratiche; è un tentativo di dare una risposta alla caduta di alcuni confini fisici, materiali ma anche simbolici e culturali nell’età della globalizzazione; risponde soprattutto all’angoscia da affogamento nell’indistinto, come per la paura dell’indifferenza altrui per il proprio destino, che accompagna molte persone dinanzi ai mutamenti dei sistemi economici e sociali;
6) la forza motrice del sovranismo è il richiamo ad una comune appartenenza, legata all’esperienza quotidiana dello spazio e del territorio condiviso; tutto il resto è irriso come mera professione intellettualistica, astratto esercizio per “anime belle”, spiriti compiaciuti di non doversi confrontare con la durezza delle vita quotidiana o, peggio ancora, parte di quelle aborrite élite che sono indistintamente indicate come responsabili dei mali peggiori, a danno della collettività;
7) lo spazio del sovranismo non è solo nazionale ma anche internazionale: quando quella creatura stanca che è l’Unione europea avrà esaurito le funzioni che le sono state attribuite fino ad oggi (o che si è assicurata, a prescindere dai risultati così ottenuti), sarà definitivamente ora di un nuovo equilibrio europeo; i sovranisti più scaltri guardano a questo orizzonte, sapendo che la partita che si sta giocando solo in parte si esaurirà nel breve periodo, avendo semmai a che fare con le relazioni internazionali a venire;
sempre più spesso, e non a caso, a rivestire il ruolo di politici ispirati al sovranismo sono donne e uomini relativamente giovani rispetto alla media generazionale della consolidata politica tradizionale: il passaggio è frequentemente legato al differenziale di età, laddove le trasformazioni più significative, anche nelle esperienze del passato, non sono state fatte dai conservatori bensì da nuove leadership modernizzanti, composte da classi anagrafiche che rivendicano spazio (altrimenti non concessogli) e che del mancato rispetto dei principi delle vecchie culture politiche (liberali, socialdemocratiche, laburiste ma anche conservatrici), traggono giovamento per raffigurarsi come l’”inedito che avanza”. Non a caso i sovranisti vivono il proprio ruolo come quello di veri e propri soggetti del “cambiamento” radicale;
9) valutare i fenomeni politici, quale lo stesso sovranismo è, in termini puramente morali (in genere per denunciarne la vera o presunta immoralità di fondo) è quanto di più impolitico si possa fare; se non altro perché al pari di molti altri fenomeni politici complessi, anche il sovranismo si dà una sua morale (“prima quelli come noi” e quanto da ciò può derivare) che si convalida da sé, senza attendere il giudizio altrui;
10) peraltro in un’ottica di tale genere, il sovranismo, e tutto ciò che si lega ad esso, aspira ad essere non solo quel che già è in se stesso, ossia un fenomeno politico composito, ma anche ad inglobare in sé maggioranza e opposizione; si presenta come un fenomeno totale, che somma al suo interno tesi, antitesi e sintesi; oggi, pertanto, in Europa non è che manchino le “opposizioni” politiche: più semplicemente, va drammaticamente rarefacendosi qualsiasi spazio per qualsivoglia opposizione organizzata, tale in quanto intenda essere qualcosa di più di un semplice atto di testimonianza;
11) denunciare o rifiutare sovranismi e populismi rifacendosi esclusivamente ai trascorsi storici (a partire dai fascismi) non solo rischia di rivelarsi inefficace ma, paradossalmente, può ancora di più accreditare ciò che si vorrebbe invece screditare, nel mentre lo si addita al pubblico ludibrio come manifestazione di intolleranza; poiché tutto questo avviene quando quel medesimo pubblico chiede, addirittura rivendica, espressioni di non tolleranza verso ciò (e chi) identifica come un fattore di alterazione dell’ordine costituito. L’intolleranza è un grave peccato per certuni ma una facoltà di autodifesa per altri.
Questo ed altro ancora per dire che se un ciclo storico (esordito nel 1945 ma in via di erosione già da almeno tre decenni) va verso la sua definitiva conclusione, qualcosa d’altro sta subentrando. Lo potremo meglio valutare quando avrà prodotto i suoi effetti. Ben sapendo, come diceva un proverbiale John Maynard Keynes, che «sul lungo periodo saremo tutti morti».
Claudio Vercelli
(26 agosto 2018)