Il diritto del forestiero
Rileggere, ad anni di distanza, la parashà di questo Shabbat con occhi diversi.
Sconvolge sempre la parte centrale della parashat Ki Tavò, chiamata degli ammonimenti, תוכחות (tochechot), in cui sono elencati benedizioni e maledizioni che cadranno sul Popolo nel caso segua o meno le mitzvot.
Nonostante sconcerti la lettura delle terribili sciagure previste se non verrà ascoltata la voce del Signore e non ne saranno osservati i precetti, questo Shabbat, insieme agli altri che cadono tra Tisha BeAv e Rosh HaShanà, è definito di consolazione: il popolo, ed all’interno di esso ogni singolo individuo, ha la facoltà di ascoltare, e quindi di fare, o meno; scegliere il male comporta la dispersione ma come suggerisce l’aftarà tratta da Isaia, dopo l’esilio Israele può trasformare la sofferenza in teshuvà e tornare alla Torà, trovando così consolazione, “perché Io ti avevo bensì colpito con il Mio furore, ma con la Mia benevolenza ho di te misericordia” (Isaia 60, 10). Un rilievo diverso assume oggi l’incipit della parashà: “Un arameo nomade era mio padre” (Devarim 26, 5). “Godrai quindi di tutto il bene […] tu stesso, il Levita ed il forestiero che sarà in mezzo a te (Devarim 26, 11). “Quando avrai terminato di prelevare tutte le decime […] e le avrai date al Levita, al forestiero, all’orfano e alla vedova” (Devarim 26, 12). “Dichiarerai davanti al Signore, tuo Dio: ‘Ho tolto le cose consacrate dalla mia casa e le ho date al Levita, al forestiero, all’orfano e alla vedova’” (Devarim
26, 13). “Sia maledetto colui che travisa il diritto del forestiero, dell’orfano e della vedova” (Devarim 27, 19).
L’ascolto. Il rispetto dei più deboli. Il diritto del forestiero. Chissà, forse è stato scritto pensando alla vicenda della Nave Diciotti.
Sara Valentina Di Palma
(30 agosto 2018)