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Leggendo “I fanatici dell’Apocalisse” di Norman Cohn, uno studio ormai classico su movimenti messianici e sollevazioni millenaristiche nell’Europa cristiana dagli anni della prima crociata alla “Nuova Gerusalemme” del regno anabattista di Münster (secoli XI-XVI), si ha la netta impressione che lo storico abbia in mente anche un’altra realtà, oltre a quella direttamente descritta. Sembra, in altre parole, che Cohn, mentre scrive di gioachimiti, flagellanti e taboriti, abbia negli occhi alcuni aspetti non secondari della dottrina nazionalsocialista e del “fanatismo apocalittico” dei suoi corifei ed esecutori.
Arnaldo Momigliano nel saggio “Apocalissi ed Esodo nella tradizione giudaica”, tra i più interessanti tra quelli raccolti nel 1987 da Silvia Berti nel volume “Pagine ebraiche” (una ricchissima miniera d’oro: ed. orig. Einaudi, ripubblicato nel 2016 dalle Edizioni di storia e letteratura), discutendo della letteratura apocalittica ebraica e cristiana in età tardoantica ne elenca gli elementi ricorrenti. Eccoli in forma di inventario:
“La profezia e visione apocalittica è in genere affidata a un famoso personaggio del passato, come Enoch o Abramo o Giobbe o Daniele, in forma di relazione, di testamento o di oracolo. Mentre i profeti ebrei parlavano a nome proprio, Isaia, Geremia, Ezechiele ecc. gli scrittori di libri apocalittici si celano sotto nomi antichi e illustri”.
“Questi libri si presentano volentieri come libri per iniziati”.
“Tutta la storia o una grossa sezione della storia entra nella considerazione apocalittica”. Passato, presente e futuro riuniti sotto un’unica formula dunque: anche qui, la differenza con i libri dei profeti, dominati dal presente o dal futuro prossimo, è notevole. “Questa continuità della storia è controllata – o se si vuole troncata – da un ‘giorno del Signore’, da un giudizio divino che è un intervento divino nella storia” e che in alcuni casi prende la forma del giudizio universale.
“L’esistenza di un mediatore, che penetrato dallo spirito divino sa quel che avverrà prima che sia avvenuto”.
“Sogni ed estasi sono parte dell’esperienza attribuita all’autore leggendario”.
Il dualismo è la tensione dominante: “C’è una forza del male che sarà sconfitta da una forza del bene […] La bontà di Dio è limitata dall’esistenza oggettiva del male, almeno fino a quando il male non è definitivamente soppresso”.
Il pensiero apocalittico può essere reinterpretato “quando risulti (e finora è sempre risultato) come non realizzato”.
“Ciò che è specifico dell’apocalissi è la rottura. Al mondo presente si oppone il mondo a venire”.
Fatte le dovute distinzioni, e senza sminuire il senso e l’interesse specifico dell’analisi di Momigliano, leggendo questa pagina mi viene in mente anche un’immagine dei nostri giorni, quella di un movimento dalla forma e dal contenuto chiaramente illiberale che per non dover soggiacere a regole non vuole trasformarsi in partito, nato in uno spazio virtuale, che si affida all’ispirazione e alla visione anticipatrice, per non dire onirica, di un capo carismatico, che pretende di riassumere l’intera realtà con poche, generiche formule, che promette la vittoria totale del bene – cioè la propria affermazione incondizionata, che segnerebbe l’inizio di una nuova era – e che non si fa scrupolo di reinterpretarsi vittimisticamente anche dopo gli scivoloni più clamorosi.
Non si tratta di un paragone: ci sono molti elementi che mancano al quadro, a partire da arrivismo, desiderio di potere, invidia e revanchismo sociale. Lo stesso Cohn, d’altronde, si guarda bene da paragonare gli anabattisti di Münster ai nazisti, eppure in molte pagine del suo studio questi secondi sembrano nascosti tra le righe. La domanda che rimane, e alla quale non sono in grado di rispondere, è un’altra: suggestione o analogia?
Giorgio Berruto
(30 agosto 2018)