L’esempio di Marsiglia
Se esiste un antidoto all’Europa attuale dei sovranismi e dell’anti-cosmopolitismo, forse si potrebbe ricercare a Marsiglia. Questa città provenzale situata a pochi chilometri dall’Italia, già all’inizio dell’Ottocento aveva una popolazione nata altrove: italiani, greci, armeni, corsi, e poi turchi e asiatici, e attualmente molti maghrebini, antillani e centroafricani. Ma anche naturalmente ebrei, soprattutto del Maghreb. Se raddoppiamo la popolazione ebraica italiana, e ci aggiungiamo qualcos’altro, troveremmo il numero degli ebrei residenti in questa città che non arriva al milione di abitanti. Ovvero, circa 80mila: su ogni dieci marsigliesi potremmo trovare almeno un ebreo. Non bisogna cercare col lanternino per imbattersi in una delle quasi cinquanta sinagoga, un supermercato o un ristorante casher, si trovano perfettamente amalgamate nel tessuto cittadino, nell’area meridionale, specie nel quartiere della Castellane, ma anche nei quartieri nord, quelli più “problematici”, a Belsunce, la Rosé, Malpassé, così come in un tutta l’area metropolitana sino a Aubagne. Non essendo un marsigliese, mi è difficile trarre considerazioni sulla quotidianità di chi vive qui 365 giorni l’anno, ed in particolare di chi vi vive come ebreo. Ma limitandomi a quelle volte che vi sono passato, a ciò che leggo, a qualche conversazione occasionale e soprattutto all’aria che vi si respira, voglio confidare be’ezrat HaSh-m che Marsiglia sia qualcosa di diverso dalla Francia degli integralisti salafiti o del Front National, e dalla stessa Europa. Perdendomi nelle sue strade, nei suoi profumi e nei suoi colori accesi che racchiudono tutto il Mediterraneo, si avverte un’atmosfera rilassata, si incontrano persone di tutte le estrazioni, religioni e provenienze, famiglie e amicizie “miste”, stranieri perfettamente integrati che non si distinguono dai francesi “bianchi” e che sovente in qualche modo conservano le proprie origini culturali. Non so quale sia il segreto di Marsiglia, se ci sia realmente un segreto che la diversifica da altre realtà analoghe o sia frutto soltanto delle mie impressioni, forse in una città così varia e cosmopolita è davvero difficile sentirsi stranieri e costruirsi delle barriere intorno. Un’unica comunità, un’immensa Cité Radiouse come aveva concepito il suo edificio le Corbusier. Eppure i problemi, i conflitti sociali, e le diseguaglianze non mancano, in certi quartieri periferici la disoccupazione è oltre il 40%, episodi di antisemitismo – come l’accoltellamento di un docente nel 2015 – si sono purtroppo verificati anche qui, ma con diverso tenore rispetto all’Ile de France, tanto da far sospettare qualche malizioso che ci fosse l’influenza del Milieu juif, la sedicente “mafia ebraica”. In realtà, alla domanda che pongo confidenzialmente a un ragazzo di origine ebraica-tunisina, se la situazione per gli ebrei sia più tranquilla rispetto a quella parigina mi risponde affermativamente aggiungendo che “c’est pour le soleil”. Già, un po’ più di sole, di quello che non obnubila la mente ma che riscalda le coscienze, farebbe certamente bene a tutti di questi tempi.
Francesco Moises Bassano
(31 agosto 2018)