…segnali
Due giornalisti di buon livello vengono intervistati alla TV sui motivi, a loro parere, di tanta violenza sulle donne e di come la si possa controllare. Uno risponde che le pene dovrebbero essere rese più pesanti, l’altro concorda e aggiunge qualche confuso borbottio. Né all’uno né all’altro, e neppure a chi intervista, passa per la mente che la propensione alla violenza di genere sia da addebitare a carenza di educazione e a una cultura malata di maschilismo. Sarebbe troppo doloroso ammetterlo. Più facile pensare che i violenti sono nati così, violenti. Più facile pensare che non appartengano alla nostra specie, che abbiano frequentato scuole diverse dalle nostre, che non abbiano ricevuto in famiglia la giusta educazione, e che siano una sparuta minoranza, un fenomeno isolabile e risolvibile con qualche mese in più di galera. Difficile ammettere che la cultura del nostro paese non dia la giusta attenzione ai rapporti con l’altro. Difficile pensare che c’è nel presente del paese un degrado culturale che consente ai violenti – e ai razzisti – di assalire una donna – o un immigrato al giorno – sentendosene autorizzati dalla nuova cultura della tracotanza e del sopruso. Autorizzati e protetti da uno speciale statuto di impunità. Curiosamente, i crimini degli immigrati, che ci sono ovviamente, occupano uno spazio sproporzionato nelle esternazioni della politica. Del crimine indigeno si parla invece per il tempo della notizia: è un crimine inevitabile, mentre quello dell’immigrato potrebbe essere evitabile. Si costruisce così la cultura del respingimento.
Dall’altro lato, proprio per risolvere alla radice il problema degli immigrati, si stanno attivando in giro per l’Italia ronde dell’estremismo neofascista. Il ministero dell’Interno lascia fare, come fossero corpi speciali che collaborano con le Forze dell’Ordine.
Non si capisce quando i segnali saranno sufficienti a preoccupare l’opinione pubblica. Se non proprio il governo.
Dario Calimani, Università di Venezia
(4 settembre 2018)