Periscopio – Itamar Ilia

lucreziOggi, 5 settembre, cade il ventunesimo anniversario di una data molto triste, importante e significativa, ancorché poco ricordata, della recente storia mediorientale. Il 5 settembre del 1997, infatti, durante una missione militare in Libano, ben dodici soldati israeliani caddero sul terreno. Uno di loro, Itamar Ilia, fu poi sottoposto, dopo la morte, a una tripla, crudele violenza: il suo corpo, infatti, fu barbaramente mutilato dai nemici, che poi diffusero la foto della testa mozzata, esibita come un glorioso trofeo di caccia. E, a queste due raccapriccianti ingiurie – la mutilazione e la sua successiva pubblicizzazione -, se ne aggiunse poi un terza, giacché diversi giornali occidentali – tra cui non pochi italiani – non esitarono a riprodurre la disgustosa immagine, in spregio alle più antiche ed elementari regole di qualsiasi codice di civiltà, tanto civile quanto militare. E le sdegnate lettere di protesta presentate dall’Ambasciatore di Israele (“avreste fatto lo stesso se, Dio non voglia, la foto fosse stata di un soldato italiano?”) non suscitarono alcun sentimento di vergogna.
A ricordo di tanta infamia, il Congresso nazionale della Federazione delle Associazioni Italia-Israele, riunitosi a Roma il 29 e 30 novembre dello stesso anno, promosse una raccolta di fondi, con il cui ricavato fu poi piantato, attraverso il Keren Kayemeth Lesirael, un giardino di 100 alberi in memoria di Itamar Ilia. Il 30 marzo del 1999 Yossi Sapir, allora Direttore del KKL, mandò alla Federazione la traduzione in italiano di una lettera di ringraziamento mandata dai genitori di Itamar, che mi sembra opportuno riprodurre integralmente:
“Con grande commozione abbiamo ricevuto il diploma di piantagione di un giardino di 100 alberi che è stato offerto dalla Federazione delle Associazioni Italia-Israele in memoria di nostro figlio Itamar, z.l., caduto in Libano.
La posa della prima pietra di una costruzione per il quartiere e per la città, piantare un albero nel giardino, nel bosco e nella foresta, dal nostro punto di vista, sono le più belle azioni che si possano compiere nel nostro giovane Stato, che dal dolore e martirio trova la forza di rinnovarsi.
La preghiamo di porgere i nostri profondi ringraziamenti a tutti gli amici della Federazione.
Per Suo tramite, egregio signor Sapir, vorremmo far sapere che la nostra casa di Arad, nel Negev, si affaccia proprio sul lato est della foresta di Yatir e sui nuovi villaggi della zona: Har Amassà, Beit Yatir, Sussia, Karmel e Maon.
Questo paesaggio in cui è nato e cresciuto Itamar è davanti ai nostri occhi e ogni giorno possiamo apprezzare ciò che i nostri amici italiani hanno fatto per ricordare nostro figlio.
Shalom.”
Come si vede, non una sola parola di odio, di rancore, di spirito di vendetta.
Credo che questa lettera esprima in modo eloquente l’essenza della forza di Israele, che, secondo me, è soprattutto forza morale, non deriva da potenza militare o aiuto divino, ma proprio da questa capacità di trasformare il dolore in nuova linfa vitale.
Ho scritto che questa ricorrenza, oltre a essere triste, è anche significativa, perché pare bene esprimere la natura di un conflitto che affonda le sue radici in una visione radicalmente contrapposta della civiltà umana. Dopo che i genitori di Itamar hanno scritto la loro lettera, infatti, l’impietosa immagine è stata ripetutamente esibita, in successivi scontri militari, per cercare (invano) di spaventare i giovani soldati Tzahal. Quasi tremila anni fa, in versi eterni, Omero ha insegnato come l’etica nasca innanzitutto dal rispetto dei nemici caduti. Achille, da cieca macchina di morte, diventa un uomo vero nel momento in cui rende onore al corpo di Ettore. Ma c’è chi, di diventare uomo, non ha la minima voglia.

Francesco Lucrezi, storico