Antiche origini

valentina di palmaVai a Taranto per un matrimonio di parenti.
Intanto capisci perché Cristo si è fermato a Eboli, per forza, più oltre verso Potenza la strada è un gruviera, e tanto per rimanere in un argomento sensibile nelle ultime settimane, cerchi di non chiederti per quale ragione tutti i viadotti che incontri, tranne uno, sono percorribili solo attraverso un restringimento che riduce le carreggiate da due ad una, situata al centro del ponte, mentre ai lati crescono erbacce tra i buchi nell’asfalto che a vederli (per fortuna non tanto bene, a causa della velocità che per quanto ridotta è comunque superiore alla capacità di osservazione particolareggiata) sono almeno decennali (sia le erbacce sia i buchi).
Poi, questo sud fa male nei suoi contrasti, di una bellezza decadente le case della città vecchia fondata dagli Spartani, affacciate sul mare, ma ove da decadenti si passa a cadenti proprio, ti si stringe un po’ il cuore per la fissità di una finta provvisorietà che non sembra avere intenzione di essere risolta: reti sotto i balconi ed i cornicioni, per evitare che probabili distacchi colpiscano i passanti, palazzi con puntellature strutturali direi permanenti, senza pensare ai muri in piedi affacciati sul vuoto, orbe le finestre (è pur vero che la città è stata bombardata… nel 1940) o alle porte e alle finestre tappate con il cemento per evitare vandalismi.
Però il castello aragonese, i palazzi nobili verso l’antico centro, i viali ortogonali del nuovo centro storico, ornati da palme e fontane, il mare che spunta dietro ogni angolo, le vestigia doriche, e a sorpresa gli ipogei – locali sotterranei di origine antichissima, persino nel tuo albergo ove è ipotizzato addirittura avessero un uso cultuale proto cristiano – per non parlare del cibo, il pesce economico e gustoso che si rassegnano a propinarti dopo che hai rifiutato nell’ordine cozze, gamberi e polpi…ecco, tutto questo ti fa pensare che sia impossibile restare indifferenti.
E carsico spunta l’eco di antiche origini: la macelleria Polacco (ma come, con quel cognome?), palazzo Calò – che poi questi Calò fossero non solo nobili ma, come direbbe un’amica dal sangue blu, addirittura nobilissimi, ed abbiano introdotto a Taranto alcune tradizioni della settimana santa cristiana, poco importa, e se comunque pensiamo che è un nome presente tra Lecce e Taranto, e che deriva dal greco Kalonymos al pari di Calimani o Kalman, la sua origine è presto detta, come ipotizza Samuele Schaerf nel suo lavoro pubblicato da Israel nel 1925.
Chissà quanti Anusim ci sono. Famiglie che magari preservano strane tradizioni del cui retaggio non sono neppure consapevoli, trasmesse di generazione in generazione, senza fare domande. Muore qualcuno e in casa si coprono gli specchi, ad esempio. Altri salano la carne e la lasciano riposare prima di sciacquarla e cucinarla. Il venerdì si pulisce la casa, si cambiano le lenzuola, si mette la tovaglia della festa per cena, si cucina un pane particolare fatto a treccia. Qualcuno accende persino delle candele.
Non molto lontano, a Trani, c’erano quattro Batei HaKnesset, trasformati poi in chiese. Una, la Scolanova, è tornata ad essere sinagoga attiva, la più antica in uso in Italia. Dentro, un’acquasantiera, un altare trasformato in Tevà e, dietro l’Aron, una tenda che copre il dipinto di una madonna testimoniano la sovrapposizione dolorosa delle storie. Molti sono gli israeliani che a sentire raccontare il passato della comunità ebraica locale si commuovono e piangono.
Chissà perché. Chissà quanti Bnei Anusim ci sono, qui fuori.

Sara Valentina Di Palma