FILOSOFIA La traduzione, radice dell’Occidente

Fino al Rinascimento, «l’Occidente» deve essere inteso, storicamente parlando, come l’insieme delle terre e dei popoli a ovest dell’India. Alessandro Magno è arrivato fino in Battria, l’attuale Afghanistan, mentre i Romani si sono spinti fino alla Britannia, creando tra questi due estremi un regno culturale unificato, destinato a rimanere interconnesso attraverso i secoli. La coscienza storica dei popoli nelle società occidentali contemporanee è stata formata da una storiografia asservita all’ideologia dello Stato-nazione. La narrativa dominante dell’ascesa dell’Occidente nella coscienza popolare e il modo in cui viene largamente insegnata alle scuole superiori (quasi sempre anche negli studi di livello universitario) è la seguente: la civiltà è stata creata dal «genio» dei Greci, poi è passata ai Romani, poi si è ibernata per un lungo periodo, i cosiddetti «tempi bui», per tornare col Rinascimento italiano, continuando poi nell’Europa a nord e a occidente e giungere infine all’oggi. Non è così che funziona. Nella storia intellettuale dell’Occidente come definito sopra, dall’antichità fino al Rinascimento, nessun evento fu più significativo della trasmissione – attraverso le traduzioni – della conoscenza scientifica e filosofica della Grecia antica in arabo, del suo sviluppo – sempre in arabo – verso uno stadio più avanzato, e della successiva trasmissione di questo stadio avanzato dall’arabo in latino e in ebraico e poi di nuovo in greco bizantino. La necessità di queste traduzioni, le traduzioni stesse hanno cambiato il corso della storia occidentale e sono direttamente responsabili dello stato dello sviluppo scientifico in cui si è trovato il mondo ben prima dell’Illuminismo e della rivoluzione scientifica. Con la conquista islamica del VII secolo, il Mediterraneo si è ritrovato unito dal punto di vista economico, politico e intellettuale con il vicino Oriente, la Persia e l’India. Questo ha permesso il libero transito non solo di materie prime e manufatti, ma anche di idee e modi di pensare e, quel che è più importante, di studiosi e scienziati. In tale contesto, la risurrezione della scienza e della filosofia greca come scienza e filosofia araba è stata intimamente connessa con il movimento di traduzione greco-arabo iniziato poco dopo l’ascesa al potere della dinastia araba degli Abbasidi, discendenti del profeta Maometto, nonché con la fondazione di Baghdad capitale nel 762: un’epoca culturale durata per più di due secoli, fino al Mille. Furono tradotti in arabo – su commissione – quasi tutti i volumi filosofici e scientifici disponibili nell’impero bizantino e nel vicino Oriente, cosicché vi fu una trasmissione massiccia e senza precedenti della conoscenza da una lingua e da una cultura ad un’altra. La filosofia araba è stata un’impresa simile alla filosofia greca prima dell’inizio del suo graduale decadimento, ma stavolta in arabo: ha reso internazionale la filosofia greca, e grazie ai suoi successi ha mostrato alla cultura occidentale che fare scienza e filosofia poteva essere un’impresa sovrannazionale. Questo ha reso storicamente possibile e intelligibile nel Medioevo il trapianto e lo sviluppo della scienza e della filosofia in altre lingue e culture. Sebbene sia plausibile ritenere che la filosofia greca nei suoi stadi di declino si sia sottomessa alla religione cristiana e la abbia imitata in vari modi, la filosofia araba si è sviluppata in un contesto sociale in cui una religione monoteista dominante era l’ideologia per eccellenza. Perciò la filosofia araba è sorta come disciplina non in un rapporto di opposizione o subordinazione alla religione, ma indipendentemente dalla religione – da tutte le religioni – intellettualmente superiore a tutte quanto a oggetto e metodo. La filosofia araba non è nata come ancilla theologiae ma come sistema di pensiero e disciplina teoretica che trascende tutte le altre e spiega razionalmente tutto il reale, religione inclusa. Non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza e il significato per la civiltà occidentale di questi sviluppi nei primi due secoli della dominazione Abbaside. Infatti, è il movimento di traduzione grecoarabo ad aver poi incoraggiato traduzioni analoghe: dall’arabo al latino e all’ebraico e dall’arabo al greco bizantino, sebbene gli effetti non siano stati automatici o immediati.

Dimitri Gutas, Il Sole 24 Ore Domenica, 2 settembre 2018