1938-2018 La Bucarest matrigna dell’ebreo Sebastian

Era calda a Bucarest l’estate del 1938, calda sino all’asfissia, e non solo in senso meteorologico. All’inizio dell’anno erano entrate in vigore le leggi antisemite varate dal governo Gogo-Cuza dopo il successo elettorale delle Guardie di ferro, il movimento nazionalista dei legionari di Codreanu. Erano misure umilianti per gli ebrei rumeni, ormai vessati, banditi dagli incarichi pubblici, esclusi dalle professioni, privati di quei diritti di cittadinanza ottenuti solo nel 1923, quando il regno di Romania aveva ancora le parvenze di uno stato liberaldemocratico, frutto dell’unione di Valacchia e Moldavia, divenuto indipendente nel 1877 dopo la guerra contro i Turchi, e rinato dalle ceneri dell’Impero asburgico con un territorio triplo rispetto al passato, grazie all’annessione di Transilvania e Banato a est, e di Bucovina e Maramures a nord, dopo la Grande guerra.

MALINCONICO

Mihail Sebastian aveva 32 anni. Era un bell’uomo, malinconico e sensuale, pieno di donne, grande sciatore e appassionato di musica. Avvocato, scrittore e drammaturgo, si era scelto quello pseudonimo pensando al martire preferito di Marcel Proust, trafitto dalle frecce per la fede cristiana. Ma il suo vero nome era Iosif Mendel Ilechter. Era un ebreo di Braila, il porto sul Delta del Danubio già patria di Panait Istrati, altro grande scrittore perseguitato, figlio della borghesia assimilata. Ignorava l’ebraico, non parlava yiddish, frequentava la sinagoga per le feste comandate, ma capì subito che avrebbe perso i pochi clienti del suo studio legale e soprattutto il suo lavoro di giornalista alla Revista Fundatilor Regale, ottenuto dopo il successo del suo romanzo autobiografico Da duemila anni, uscito nel 1934 e incentrato sulla scoperta dell’antisemitismo da parte di un ebreo rumeno che solo in quel frangente si scopre tale (capolavoro, tradotto di recente da Maria Luisa Lombardo per l’editore Fazi).

LA TRESCA

Nell’estate 1938, Sebastian si sentiva braccato. Aveva in corso una tresca con una ragazza “miracolosamente bella” che gli parlava come Nora, la protagonista di un altro suo racconto L’Incidente da molti considerato perfetto (urge traduzione), e come lei gli diceva : «Tu hai un viso che si dimentica facilmente». Restava però in balìa di un estenuante amore per Leny Caler, una bella attrice che lo trattava come Odette trattava Swann, salvo anche lui scoprire, come il banchiere dandy di Proust, che pure la sua Odette non era il suo tipo, visto che non capiva le battute da recitare a teatro. Se per lui la letteratura anticipava la vita e la vita replicava la letteratura, di giorno viveva in preda all’ansia in un’assoluta penuria: «Sono un po’ matto. Non ho un soldo, vivo di piccoli prestiti dall’oggi al domani, a volte mi mancano cento lei, non posso neanche prendere un tram, comprare un francobollo, ci sono momenti in cui non so nemmeno a chi chiedere soldi, né soprattutto come chiederli (perché crepo di vergogna, la povertà ferisce essenzialmente il mio orgoglio)…», scriverà il 4 luglio 1938 nel suo diario, libro essenziale — equiparato da Philippe Roth al Diario di Anna Frank – per capire la demagogia sovranista in Europa e il trionfo dell’antisemitismo tra le due guerre. Di notte sognava il suo maestro e mentore Nae Ionescu, il professore di logica, che da commissario alla maturità aveva scoperto il talento di quel diciottenne compito, e a Bucarest se l’era preso sotto la sua ala protettiva. Era l’uomo che l’aveva più illuso e deluso. Nel 1934, quando Sebastian gli diede il manoscritto del romanzo chiedendogli una prefazione, Ionescu gli riservò un attacco sconcertante: «E’ un’illusione assimilazionista, l’illusione di tanti ebrei che credono sinceramente di essere rumeni…Ricordati che sei ebreo. Sei tu Iosif Hecther un essere umano da Braila, sul Danubio? No, tu sei un ebreo da Braila sul Danubio». Sebastian, che era un tipo calmo e ragionevole, la pubblicò come se nulla fosse, ma fini triturato a sinistra dai suoi correligionari indignati e a destra dai fanatici xenofobi e antisemiti.

CARCERE

Nel maggio del 1938, Nae Ionescu venne arrestato e finì nel carcere di Miercurea-Ciucului, ma continuava ad assediare i sogni di Sebastian: «Ci ritrovavamo tutti e due nel cortile del liceo di Braila. Discutevamo vivamente, lui in modo molto violento, perché io criticavo la Guardia di Ferro. Poi succedevano tante cose (il sogno è stato lunghissimo), che però non ricordo». Nae Ionesco era il suo idolo, un mito vivente, universitario affermato, giornalista di successo, corteggiato dal potere: l’ex compagno di scuola e consigliere del re Carol II teorizzava i diritti assoluti della collettività per giustificare il valore metafisico della rivoluzione del Capitano Codreanu, il fondatore dei legionari delle Guardia di Ferro, che sarebbe finito malissimo, giustiziato il 30 novembre 1938 dall’ ex alleato Ion Antonescu, a capo del dittatura regia con cui Carol II tentò di contenere le mire di Hitler. Dopo Ionescu, il 1°agosto 1938 fu arrestato e per le stesse ragioni anche Mircea Eliade, un altro amico di Sebastian. Il futuro storico delle religioni, professore a Chicago e difensore della democrati, era all’epoca un estremista fanatico, un filofascista convinto del trionfo del movimento legionario e della “redenzione nazionale” attraverso la dittatura di Codreanu.

GENEROSO

Sebastian lo considerava un uomo generoso, vitale, straordinario, ma anche amico impossibile ché continuava a vomitare odio per gli ebrei colpevoli di tutti i mali, soffocando nel silenzio l’imbarazzo di ritrovarselo davanti. «Avevo voglia di dirgli, questa è la dittatura che voi volete, purché non colpisca voi direttamente, ma permetta a voi, e solo a voi, di colpire liberamente…eppure mi trattenni» confesserà Sebastian, rimasto solo e abbandonato nel suo individualismo libertario, prima di finire travolto non da uno dei tanti pogrom micidiali, compiuti in nome della redenzione e dell’ideologia totalitaria, ma da un tram che lo investi in pieno centro a Bucarest una mattina del 1945. Così per capire l’asfissia in cui visse l’ultima estate prima della guerra, bisogna ritornare a leggere il suo Diario, rimasto cinquant’anni inedito dopo esser stato salvato dal fratello prima di emigrare in Israele. Libro essenziale e ancora oggi tremendam ente scandaloso per le rivelazioni che contiene e l’impotenza tragica che esprime. (8-Continua) Marina Valensise Leny Caler Leny Caler, la bella attrice che fu il grande amore di Mihail Sebastian. Lo scrittore ebbe anche una storia con una ragazza, poi raccontata in “L’incidente”.

Marina Valensise, Il Messaggero, 26 agosto 2018