STORIA Che fatica disfarsi del fascismo Il lungo addio di Meneghello

mario mirriMario Mirri /LA GUERRA DI MARIO / Laterza

Il veneto Luigi Meneghello, prima di diventare un autorevole ambasciatore della letteratura italiana in Gran Bretagna, era stato partigiano: a lui, nato nel 1922 e scomparso nel 2007, si deve uno dei più importanti romanzi autobiografici sulla Resistenza, I piccoli maestri (Feltrinelli,1964; Bur, 2o13). Tuttavia non aveva mai nascosto la sua partecipazione alle attività culturali del regime, tra cui la vittoria ottenuta da ragazzo diciottenne, nel 1940, alle gare studentesche denominate Littoriali. Un alloro conseguito proprio nel campo della dottrina fascista. Colpisce però, pur conoscendo questo retroterra, il racconto contenuto nel libro La guerra di Mario (Laterza). L’autore, che si è spento nello scorso maggio all’età di 93 anni, è lo storico Mario Mirri, che fu compagno di Meneghello nella guerra di Liberazione e compare tra I piccoli maestri del romanzo. Nel narrare la sua vita rispondendo alle domande di un giovane, Mirri rievoca l’orientamento antifascista del padre e quello assunto da lui stesso sin dagli anni della media superiore. Poi racconta un significativo aneddoto, risalente alla primavera del 1942, quando ancora le sorti della guerra erano incerte, anzi l’Asse muoveva le sue ultime offensive in Russia e nel Nord Carismatico A Vicenza l’incontro con Antonio Giuriolo fu decisivo per le scelte di molti ragazzi Africa. Sotto Mussolini il 21 aprile, il cosiddetto «natale di Roma», aveva sostituito il 1° maggio (considerato «sovversivo») come festività. E quel giorno gli studenti erano tenuti a svolgere un tema, uguale in ogni istituto d’Italia, per cantare le lodi del regime. Al fine di evitare quel rito divenuto per loro ormai insopportabile, a Vicenza Mirri ed altri liceali della sua classe marinarono la scuola e andarono a fare una passeggiata al Monte Berico. L’episodio inquietò la dirigenza fascista, che decise di convocare i ragazzi del liceo per un confronto alla sede del partito. Qui, ricorda Mirri, si trovarono di fronte Meneghello, che impartì loro una lezione ideologica, leggendo e commentando la voce sulla dottrina del fascismo contenuta nell’Enciclopedia italiana Treccani. Alle domande dei ragazzi il futuro partigiano «rispondeva sempre con molta rigidità». E quando Mirri gli fece notare la scarsa plausibilità del motto «Mussolini ha sempre ragione», Meneghello cercò di difendere anche quello slogan, tanto che gli studenti, stufi di tanto cieco dogmatismo, decisero di andarsene intonando la Marsigliese. Viene spontaneo chiedersi che cosa ci fosse dietro l’intransigenza mostrata allora da Meneghello. Nel libro Fiori italiani (Rizzoli, 1976), anch’esso autobiografico, lo scrittore racconta di avere conosciuto nell’estate del 1940 Antonio Giuriolo, antifascista coraggioso e isolato, poi esponente del Partito d’Azione durante la Resistenza, caduto da partigiano combattente in Emilia nel 1944. Rievoca anche un episodio dell’autunno 1940, in cui lui si era ostinato a difendere, discutendo con Giuriolo, «l’idea della patria in armi, le speranze del fascismo», pur in crescente imbarazzo di fronte alle domande poste dal suo interlocutore. Aggiunge Meneghello, sempre in Fiori italiani, di aver cambiato orientamento molto gradualmente, stimolato da Giuriolo, perché «certe idee erano dure a morire, come la bellezza morale del partito unico». E nota che il suo distacco dalla fedeltà al regime fu «un processo esaltante e lacerante insieme: un po’ come venire in vita, e nello stesso tempo morire». A che punto era quel travaglio quando avvenne l’incontro con i liceali nella sede del Pnf vicentino, ricordato nel libro di Mirri? Meneghello stava recitando una commedia (forse anche per non suscitare sospetti nei presenti), oppure era ancora interiormente combattuto? Di certo questo episodio dimostra quanto faticoso e complesso fu, per un’intera generazione, il passaggio storico che segnò la dissoluzione della dittatura fascista.

Antonio Carioti, Il Corriere della Sera, 30 agosto 2018