Un anno per l’ebraismo italiano
A novembre, terminati da poco i mo’adim di questo 5779, si terrà un appuntamento molto importante per l’ebraismo italiano, gli Stati Generali dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. È evidente a tutti che ci sono molte urgenti questioni sul tavolo, e il confronto fra le varie anime delle nostre comunità è certamente auspicabile.תשע”ט in ghematrià corrisponde al valore di un’espressione tratta dai Salmi (25,4), “orchotècha lammedèni – insegnami le Tue vie”. Il versetto presenta un parallelismo, poiché nella sua prima parte recita “le Tue strade, o Signore, fammi conoscere”. I commentatori tuttavia notano che i due termini utilizzati, dèrekh e òrach, denotano l’uno la strada, l’altro le sue ramificazioni. Questa sottile distinzione è molto rilevante per il nostro ebraismo: conoscere gli indirizzi generali, le strade, non vuol dire necessariamente padroneggiarne i sentieri. L’ebraismo italiano ha una sua storia, lunga e gloriosa. La sua sopravvivenza è stata determinata nel tempo dalla capacità di sapersi confrontare con le situazioni più disparate, riuscendo a declinare gli indirizzi generali in costruzioni che seguissero lo spirito della Torah, fatto tutt’altro che semplice o banale. L’augurio, per il bene dell’ebraismo italiano, è che possiamo ancora oggi ricevere l’ispirazione per riuscire a confrontarci con il mondo attuale, sempre più complicato da interpretare, e soprattutto creare le condizioni necessarie per vivere il nostro ebraismo al meglio.
Rav Ariel Di Porto, rabbino capo di Torino