Immagini – Cartier-Bresson
In questa rubrica cerco di selezionare prima la foto e capire poi il motivo della mia scelta.
Questa volta invece ho voluto scegliere prima il fotografo e poi la foto. Era impossibile ridurre il grande fotografo francese Henri Cartier-Bresson in una sola immagine. Così ho deciso di sceglierne almeno quattro che possano dare la misura del talento di quello che è considerato il più grande fotografo del Novecento per quanto riguarda il reportage.
Cartier-Bresson iniziò da giovane come assistente ai film di Jean Renoir proprio prima dello scoppio della guerra. Ben presto si trovò nella resistenza francese contro l’invasione nazista, i tedeschi lo catturarono ma riuscì a fuggire dal carcere e prese parte alla liberazione di Parigi, documentandola con fotografie memorabili di donne collaborazioniste francesi.
Ebbe la possibilità di viaggiare in tutto il mondo e di rappresentare la realtà sempre dando grande dignità agli esseri umani, che sono sempre stati il fulcro del suo interesse fotografico.
Usava la sua Leica come se fosse un blocco di schizzi per immortalare un attimo, uno sguardo, un gesto. Ha sempre pensato che la fotografia fosse: “porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore.” La fotografia per lui era un modo di vivere e di guardare la realtà.
Il Moma di New York, pensando che fosse morto, voleva attribuirgli una retrospettiva postuma. Quando lui se ne accorse fu il più attivo collaboratore della mostra, che lo lanciò nell’olimpo internazionale della fotografia insieme a Robert Capa. Questi fotografi, insieme ad altri, resero il Life Magazine e l’Harper’s Bazaar le riviste di approfondimento politico-culturale più lette grazie anche alla veridicità delle immagini. Con l’avvento del digitale e di Photoshop, questa veridicità dell’immagine fotografica è venuta meno. Anzi, oggi un’immagine fotografica può essere manipolata a tal punto che dobbiamo sempre chiederci che cosa ha realmente visto il fotografo e cosa poi ha immaginato o voluto vedere nel processo di post-produzione dell’immagine stessa. Nel mondo dei social, che vive e si alimenta di immagini, credo sia importante conoscere la storia della fotografia e cercare di avere una lettura critica rispetto al linguaggio stesso dell’immagine. Resta un po’ di nostalgia nel vedere come il grande fotografo francese sia riuscito, in situazioni così diverse, ad allineare la suo mente, il suo cuore e i suoi occhi e a restituirci con sincera lucidità e senso estetico il mondo in cui viviamo, dalla realtà delle prostitute di Città del Messico ai Haredim di Mea Shearim, alle immagini romantiche di Parigi negli anni Cinquanta fino ad arrivare ai bambini che giocano all’interno di un muro sventrato a Siviglia pochi anni prima della guerra civile.
Ruggero Gabbai, regista