Padri e figli

valentina di palma“Possiate essere meritevoli di vivere molti anni, voi figli e padri qui riuniti, con gaudio ed esultanza, in quest’ora di chiusura delle preghiere. Dio che sei temibile nelle Tue opere! Facci conseguire l’assoluzione in quest’ora di chiusura delle preghiere”, abbiamo cantato all’inizio di Ne’ilà in chiusura di questo Yom HaKippurum.
Nella sua derashà mattutina prima della lettura del Sefer durante Shachrit in Tempio a Firenze, Tommaso Bianchi ha illustrato uno degli apparenti paradossi di Kippur, le cui severe regole di pentimento e di lunga astensione dal cibo, oltre che da altri piaceri, sembrano suggerire che il fulcro della teshuvà, del pentimento e della riparazione sia il mondo adulto, mentre Kippur parla anche ai bambini nella misura in cui saranno gli adulti di domani, ed il ritorno degli adulti è strettamente legato a quanto gli adulti riescono a trasmettere ai figli.
Perché Dio ha potuto essere tale non solo per Avraham ma anche per Yitzhak e Yakov, e per tutte le generazioni a venire, grazie alla trasmissione dell’insegnamento di generazione in generazione, la pietra di testimonianza passata di padre in figlio – even, pietra, ovvero av – ben, padre-figlio.
Per questo iniziamo l’Amidà con la benedizione di Avot, padri, dedicata ai patriarchi: “Dio nostro e Dio dei nostri padri”, diciamo, perché prima ancora di essere il Signore ereditato dall’insegnamento che riceviamo, se tale insegnamento e l’identità che esso porta con sé riescono ad essere coerenti e pieni, Dio è prima di tutto nostro, e con lui riusciamo a trovare un legame personale che va oltre quanto i nostri genitori ci hanno trasmesso.
Ognuno dei patriarchi è stato, prima ancora che padre, figlio, a partire da Avraham, figlio di una casa idolatra, capace di trovare il coraggio di andarsene per se stesso ascoltando l’invito del Dio unico, e per questo degno di cambiare nome e destino.
Padri e figli riuniti nell’ora di Ne’ilà, nel ripetere ai bambini nell’intimità familiare ma anche andando nel mondo esterno lo Shemà ed il suo messaggio che solo a Kippur possiamo pronunciare ad alta voce, “Benedetto sia il nome del Suo glorioso regno per sempre”, possano ritrovarsi dopo il suono dello Shofar e dopo aver terminato il digiuno per iniziare a costruire la Succà e passare da una mitzvà all’altra.
E se i padri non ci sono, possano le madri supplire a questa mancanza, insegnare di nuovo la Torah con il latte materno e perpetuare il messaggio andando a dormire ed alzandosi la mattina.

Sara Valentina Di Palma