…riflesso

Agrigento, Matera, Ferrara, oggi Torino (presso l’Archivio di Stato fino al 14 ottobre), poi Milano. Sono le tappe dell’itinerario italiano della mostra “Entire Life in a Package”, personale dell’artista israeliana Orna Ben Ami. Le opere di Orna sono composte da ferro saldato su scatti fotografici che riprendono chi lascia una casa e va via, migra: il materiale duro per definizione e l’attualità in presa diretta. In questo modo, sottolinea il curatore Ermanno Tedeschi, “pone in rilievo un elemento, una valigia o una bambola che richiamano alla forza e alla crudezza della fuga dal proprio paese e all’aspettativa per una nuova vita”. L’obiettivo è evidenziare la dimensione umana del migrante, spesso misconosciuta e calpestata nel discorso pubblico contemporaneo. Non la migrazione come fenomeno, dunque, ma la persona che migra. “Israele è da sempre al centro di percorsi di migrazione”, ha chiarito l’addetto culturale dell’Ambasciata di Israele in Italia Eldad Golan, intervenuto all’inaugurazione, non può dunque non essere particolarmente sensibile a “speranze, aspettative, paure, necessità dei migranti di ogni tempo”.
RIFLESSO_2016Delle ventiquattro opere esposte, quella che vedete riprodotta mi ha colpito in special modo. È intitolata “Riflesso”, ed è creata a partire da una foto scattata in Macedonia nel 2015 da Stoyan Nenov per l’agenzia Reuters. Nella parte superiore vediamo un blocco unico, una massa amorfa in cui si perdono le distinzioni individuali. Sotto questa massa senza vita, che sappiamo nascondere persone, una sottile striscia di terra malferma divide dal riflesso, attraverso cui si distinguono colori, volti, si intravedono sguardi e sensazioni. È un invito alla meditazione sui temi della realtà e della percezione non meno che sull’attualità: la vita che scorre non scorre, è immobilizzata in una colata di ferro che distrugge i visi e azzera la possibilità di guardare negli occhi. Eppure questa rimane la realtà primaria, quella dei corpi. Al di sotto, il riflesso ha qualcosa di meno e qualcosa di più. In alto, sullo sfondo del cielo omogeneo, l’inquietante contorno di fili del telefono e armature di cemento, limite di uno spazio fuori dal tempo. Quello, sembra dire Orna, del migrante.

Giorgio Berruto