Moving King
“In Israele sembrava di andare verso, o di venire da, o meramente di passare accanto all’aeroporto, e ciascun segnale indicava quanto si era lontani dall’aeroporto, come se fosse importante essere sempre consapevoli della precisa distanza chilometrica tra questa vita e una fuga”.
Un high-light tratto dall’ultimo romanzo di Joshua Cohen, “Moving Kings” – tradotto in italiano come “Un’altra occupazione” e pubblicato da Codice Edizioni, 2018 -, un autore statunitense emergente da tenere d’occhio. Con quest’opera che anticiperò soltanto in breve, Cohen racconta di due ragazzi israeliani di origine maghrebina, che dopo il congedo militare vengono assunti “clandestinamente” in una ditta di traslochi di New York gestita da un lontano cugino di uno dei due, Yoav. Oltre a scavare a fondo sull’esperienza del servizio militare e sui postumi di questo, tracciando un surreale parallelismo con il nuovo lavoro oltreoceano, “Moving King” riflette ancora sul rapporto tra la società israeliana e il mondo esterno, altalenandosi da una parte e dall’altra contemporaneamente come in un unico spazio. Come nel passo citato, Israele è intuita alla pari di un’isola, da dove per muoversi bisogna pur “provare a volare”. E l’esilio, il movimento verso qui o verso Israele, oltre ad essere una “misura di emergenza”, è anche un mezzo conoscitivo inevitabile. Il Ben Gurion così rappresenta il punto centrale di Israele, il legame che unisce il paese dal resto del globo, il luogo da dove si può, in qualunque momento, partire ed arrivare.
Francesco Moises Bassano