Torino – Violenza e pregiudizio, lessico
di un pericolo ancora attuale

373364cb-733d-4034-a5c9-cab59d32bf46“1938-2018. La vergogna delle leggi razziali” è il titolo di un importante incontro che si è tenuto presso la Fondazione dell’Avvocatura Torinese Fulvio Croce, organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Torino.
In apertura Riccardo Rossotto, Presidente della fondazione, ha espresso preoccupazione nei confronti del presente non tanto perché la situazione di oggi sia analoga a quella di ottant’anni fa, quanto perché in entrambi i casi i segnali (nel caso di oggi lessico e violenze verbali) si moltiplicano ma vengono sottostimati, si assiste a un’accelerazione, a una valanga sempre più grande, così come fu allora dal luglio al novembre 1938. Accelerazione ribadita anche da Giulio Disegni, moderatore della prima parte, che ha sottolineato l’efficienza burocratica con cui si succedevano decreti e circolari.
Lo storico Michele Sarfatti ha ricordato che l’unico a opporsi pubblicamente al manifesto degli scienziati razzisti era stato un medico torinese, Giulio Casalini, che dirigeva la rivista “L’igiene e la vita”. Le leggi contro gli ebrei, ha detto Sarfatti, sono state il pieno svelamento della concezione del diritto nello stato fascista: a differenza dei progetti di Codice Civile del 1931 e del 1936, quello del 1938 non parla più di uomo che detiene diritti dalla nascita ma di capacità giuridica che si acquista alla nascita salvo limitazioni date da leggi speciali. Sarfatti ha anche sottolineato un’interessante concomitanza, che a suo parere non fu una mera coincidenza: il 14 dicembre del 1938, subito dopo aver approvato la conversione in legge dei decreti contro gli ebrei, nella stessa seduta la Camera votò la propria stessa fine e la nascita al posto della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, cioè sostanzialmente la fine formale della democrazia.
Antonella Meniconi, docente di storia delle istituzioni politiche alla Sapienza, ha analizzato in particolare i decreti e la documentazione riguardanti gli avvocati, sottolineando come, salvo lodevoli eccezioni, non solo non ci fu particolare solidarietà, ma come addirittura fossero gli avvocati stessi a sollecitare le epurazioni dei colleghi ebrei per togliersi dai piedi scomodi concorrenti. Ha anche sottolineato il lungo silenzio, durato almeno cinquant’anni, sulle responsabilità nel ceto dei giuristi.
Prima di moderare la seconda parte dell’incontro, centrata più specificamente sul Piemonte, Alessandro Re ha sintetizzato la relazione di Guido Alpa, che non aveva potuto intervenire di persona, centrata i particolare sulle mancate restituzioni agli ebrei dei beni sottratti loro o di cui erano stati costretti a disfarsi a condizioni svantaggiose. Secondo Alpa si può parlare addirittura di due persecuzioni, la seconda delle quali, dalla Liberazione in poi, in realtà dura ancora oggi: si è passati da una fase di legittimazione del male a una di legittimazione dell’umiliazione. “Quando mai gli avvocati sono stati brava gente?” si è chiesto Re introducendo la relazione di Alpa.
L’analisi più dettagliata delle vicende degli avvocati ebrei in Piemonte (45 furono quelli cancellati dall’Albo) è stata svolta da Paola De Benedetti e da Alice Abena, che si è occupata in particolare di Ivrea e Vercelli. Tra i casi singoli analizzati di fughe e deportazioni, richieste legittime rifiutate o soffocate nella burocrazia, accanimento gratuito (che necessità c’era, per esempio, di procedere alla fine del ’43 alla cancellazione completa di avvocati forse già deportati e uccisi, o comunque fuggiti o ridotti in clandestinità?). In conclusione del suo intervento Paola De Benedetti ha ricordato come negli anni ’50, all’inizio della sua carriera di avvocato a Torino, nessuno parlasse di queste vicende, neppure gli avvocati ebrei, e come lei stessa trovasse normale che non se ne parlasse.
Le conclusioni, con riflessioni di deontologia, erano affidate a Michela Malerba, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino. Al termine dell’incontro è stata consegnata alla fondazione Croce, da parte della famiglia, la toga dell’Avvocato Massimo Ottolenghi, ricordato più volte nel corso della giornata.