La paura dell’uguale
C’è un tema che meriterebbe di essere sviluppato ed è l’angoscia che è generata non dalla presenza del «diverso», colui che differisce da sé, ma dall’«uguale», ossia chi presenta caratteri simili se non identici, tuttavia deviando in alcune loro concrete manifestazioni. Tradizionalmente si è accostato l’antisemitismo alla tziganofobia (se si può usare questo termine). Arditamente, si sono tentati parallelismi, o comunque comparazioni, con ciò che è considerata «islamofobia». La questione non è d’accademia, per così dire. Poiché stabilisce priorità e indica criteri di reazione ai quali rimandare per giudicare i percorsi del razzismo contemporaneo. Invece, un terreno che è rimasto scarsamente o per nulla esplorato, è quello del legame che è stabilito tra avversione nei confronti degli ebrei e rifiuto dell’omosessualità. Non è solo una ricorrenza storica, empiricamente dimostrata dai fatti. C’è qualcosa di più, che rinvia a un nocciolo ideologico profondo. Che perdura e si rinnova. Ebreo e omosessuale sono intese ancora oggi come figure dalla «perversione». Anzi, a giudicare da certi risentimenti diffusi, parrebbe che in alcune parti del nostro Continente, e non solo di esso, si stia registrando una sorta di grande ritorno di tali “pregiudizi”. Invero, mai venuti meno. La piattaforma di una parte robusta di certe formazioni politiche radicali, ispirate al trittico «Dio-patria-famiglia», coniuga l’odio nei confronti degli ebrei a quello nei riguardi degli omosessuali. Poiché questi gruppi politici dicono di volere ripristinare una presunta «naturalità» di contro all’artificiosità e al «materialismo edonistico» di cui gli uni e gli altri sarebbero i depositari. Gli ebrei con il controllo del denaro e lo “snaturamento” dell’ordine tradizionale, basato sui valori dello «spirito»; gli omosessuali con l’accoppiamento “contronatura”, tra persone del medesimo sesso, di contro al “sano” principio per cui la sessualità non è piacere, godimento e soddisfacimento reciproco ma esercizio procreativo, quando non deliberata astensione. La radice comune sta nel fatto che agli uni e agli altri è imputata la responsabilità di ledere il principio dell’«ordine tradizionale», quello per cui gli individui devono assoggettarsi ad una gerarchia che detta le regole dell’esistenza, a partire proprio dalla dimensione privata. C’è di che riflettere su questo orizzonte. Non per esercizio di scuola, lo ripetiamo. Storicamente – e su questo già George Lachmann Mosse aveva riflettuto – omofobia e antisemitismo si sono rinforzati reciprocamente. Non costituiscono esercizi di ignoranza, residualità del passato che riemergono per errore. Sono due componenti di una ideologia contemporanea, fortemente legata alle società di ceti medi, che ha attraversato due secoli per arrivare a noi. E che oggi viene recuperata come piattaforma di un certo tipo di discorso basato non tanto sulla paura del «diverso», dell’estraneo, ma di quella parte che può abitare in ognuno di noi, che può legittimamente arricchire l’identità dell’uomo contemporaneo, a patto che questi sappia sperimentare se stesso. Discorso molto difficile da fare, invece, quando l’orizzonte dei molti è quello di chiudersi davanti ai fatti del mondo. Il proprio, prima di tutto.
Claudio Vercelli
(23 settembre 2018)