Beitar, un nuovo possibile inizio
Ligat ha’al, la prima serie del calcio israeliano. Il Beitar di Gerusalemme che ospita il Bnei Sakhnin, squadra a forte trazione araba, in una serata di fine settembre. Per una volta solo buone notizie da dove non era scontato aspettarsele. E questo anche per la fortissima attenzione che è stata dedicata, su tutti i fronti, a un incontro che definire “a rischio” sarebbe un eufemismo. “Hope for soccer” titolava il Jerusalem Post qualche giorno prima, ricordando gli eclatanti episodi di violenza degli anni precedenti e auspicando un cambio di direzione. La curva del Beitar che nel 2008 offendeva a gran voce il profeta Maometto, la stessa che nel 2012 protestata veementemente per l’acquisto di due giocatori ceceni “colpevoli” di essere musulmani, gli scontri tra tifoserie sfociati in vera e propria guerriglia urbana, i calciatori ospiti costretti a lasciare lo stadio sotto la scorta della polizia. E la necessità di far disputare le successive partite a porte chiuse. Un clima gravissimo di intimidazione ricostruito nel documentario Forever Pure dell’israeliana Maya Zinshtein, vincitore nelle scorse ore di un Emmy Award.
Segnali inquietanti che le autorità di pubblica sicurezza non hanno sottovalutato, arrestando nel corso degli anni diversi esponenti della cosiddetta Familia, il gruppo più estremista dell’universo Beitar. E che anche al più alto livello istituzionale sono stati presi piuttosto sul serio. Come dimostra l’interessamento in prima persona del presidente israeliano Reuven Rivlin, che del club di Gerusalemme è un sostenitore. Nel 2012 l’inserimento in rosa dei ceceni Dzhabrail Kadiyev e Zaur Sadayev fece scoppiare un autentico putiferio: violenze, minacce, esaltazioni dell’integrità identitaria del Beitar. Una vergogna rilanciata dalla stampa di mezzo mondo. “Il Beitar sarà per sempre puro” si leggeva in alcuni striscioni di protesta branditi da tifosi locali.
Nel 2017 l’ex allenatore Eli Cohen era tornato su quel duplice acquisto ceceno con queste parole: “È stato come spararsi in testa, bisogna essere completamente stupidi per fare una cosa del genere, perciò non prenderei più un giocatore musulmano. In passato ho allenato calciatori islamici in altre squadre, ma nel Beitar Gerusalemme non ne prenderò. Sono solo realista, non razzista”. Poche ore e l’ex proprietario Eli Tabib, spalleggiato da Rivlin in persona, l’aveva destituito dal ruolo di Consigliere speciale del club. Nella sua prima conferenza stampa, la scorsa estate, il nuovo presidente Moshe Hogeg ha sottolineato: “Il Beitar non è un club razzista. Da oggi la religione non sarà più un fattore determinante nella scelta dei giocatori”. Parole che lasciando intendere una svolta lungamente attesa.
(3 ottobre 2018)