Bereshit…

Ogni anno, concludendo e ricominciando dall’inizio la lettura della Torah nella festa di Simchat Torah, siamo sollecitati a trovare nel testo, immutabile nel tempo, nuove spiegazioni, nuove risposte, nuove chiavi di interpretazione, a domande che sono anch’esse nuove e antiche al tempo stesso,perché sono le domande con le quali cerchiamo di comprendere il senso della nostra vita
Non c’è bisogno di inoltrarsi tra le righe del testo per trovare la prima domanda, la Torah si apre con una grande lettera Bet, iniziale della parola “Bereshit- All’inizio” che pare appositamente collocata per suscitare la domanda “Perché mai la Torah inizia proprio con questa lettera?”. È noto il midrash che ricostruisce la scelta della prima lettera con un fantasioso dialogo nel quale ciascuna delle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico rivendica davanti al Signore il diritto di priorità fino a quando viene scelta la Bet in quanto espressione del messaggio più positivo per la creazione, corrispondente alla parola Berachà – benedizione, che inizia con questa lettera. Non ci fermiamo però a questa risposta. Un’altra suggestiva spiegazione ho trovato in un recente testo di dissertazioni sulle Parashot settimanali – “Neot deshe” – di R. David Senior. Perché la Bet all’inizio della Torah? Perché questa lettera ci dà una chiara indicazione su uno dei fondamenti nell’ordine della creazione. È noto che le lettere ebraiche hanno anche valore di numero, la Bet vale due; il mondo può sussistere solo se si realizza la Bet, vale a dire che si vive “in due”, cioè con altri e per altri. Il mondo che si fondi sulla chiusura in se stessi, sull’egoismo, in cui ciascuno pensi solo per sé e si veda al centro dell’universo, un mondo simile non era nel progetto divino e non può reggere. La Bet ci ricorda fin dall’inizio che la creazione, la vita stessa di ogni essere umano, non può prescindere dal rapporto con il prossimo, il fondamento dell’identità umana è nella disponibilità a stabilire un rapporto di khesed, di generosità con altri, simili o diversi da noi che siano.

Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova

(3 ottobre 2018)