Talmud, consegnati al Quirinale
i trattati Berakhòt e Ta’anìt
“Un’altra tappa della grande opera”. Così si è espresso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella accogliendo in visita al Quirinale il presidente del consorzio Progetto Traduzione Talmud Babilonese rav Riccardo Di Segni, con la professoressa Clelia Piperno e il rav Gianfranco Di Segni, rispettivamente amministratore delegato e coordinatore della traduzione, che gli hanno consegnato in dono una copia del trattato Berakhòt uscito nel 2017 e del terzo trattato Ta’anìt (Digiuno) in uscita a fine ottobre. Ad accompagnarli il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Marco Bussetti.
Viene spiegato nella presentazione a Ta’anìt, la cui traduzione è stata curata da rav Michael Ascoli nel solco del protocollo d’intesa firmato nel 2011 da Presidenza del Consiglio dei Ministri, MIUR, CNR e Unione Comunità Ebraiche Italiane – Collegio Rabbinico Italiano (UCEI-CRI): “Il digiuno, come forma rituale ebraica, esprime la contrizione di fronte a una disgrazia che ha colpito o minaccia di colpire la collettività o un singolo. È uno strumento di teshuvà, di pentimento, di ritorno al Signore. Con ciò, l’uomo sancisce che quanto avviene non è casuale, bensì opera di Dio e conseguenza delle nostre azioni”.
“Il digiuno – si legge ancora – è la pratica che i Maestri hanno stabilito per adempiere il comandamento biblico di invocare il Signore qualora vi sia una minaccia incombente o quando si sia già stati colpiti. Il digiuno rimarrebbe tuttavia privo di significato se non fosse accompagnato dalla preghiera e dall’analisi scrupolosa del proprio operato, tutte componenti essenziali del processo di teshuvà. L’istituzione del digiuno è quindi strettamente correlata con eventi che possono accadere o non accadere: siccità, carestie, pestilenze, guerre. Ai tempi della Mishnà e del Talmud, la minaccia maggiore e più frequente era quella della mancanza di pioggia. Pertanto il trattato affronta soprattutto questo argomento per poi estendere la disamina agli altri casi”.
Si aggiunge poi: “Si può guardare al trattato di Ta‘anìt con nostalgia per la perduta immediatezza nel rapporto con il divino: la correlazione così netta e diretta fra meriti e pioggia ovvero colpe e siccità ci sembra oggi appartenere a una dimensione lontana, e anche la dipendenza così forte dalla pioggia per la sopravvivenza, almeno per una parte della popolazione mondiale, appare storia passata. Le previsioni del tempo consentono di sapere in anticipo l’arrivo o meno di pioggia con relativa sicurezza. Eppure, l’esito di una stagione più o meno piovosa o il verificarsi o meno di cataclismi riguardano ancora l’umanità tutta. L’immediatezza è forse venuta meno ma non l’incidenza dei fenomeni naturali che invece è rimasta immutata e in cui gli uomini hanno un ruolo di fondamentale importanza. In questo senso il trattato di Ta‘anìt sembra richiamarci a nuove responsabilità e consapevolezza rispetto alla cura della terra”.
A pubblicare il trattato è la casa editrice Giuntina.
(5 ottobre 2018)