Immagini – Karsh
Quando studiavo fotografia all’università, ho avuto la grande fortuna di assistere a una lezione del grande fotografo armeno Yousuf Karsh, il più grande ritrattista di tutti i tempi, famose le sue foto di Einstein, Hemingway, Audrey Hepburn. La fotografia che lo rese famoso e per cui ancora oggi è considerato uno dei più grandi ritrattisti della fotografia contemporanea è quello di Winston Churchill, ritratto durante un viaggio in Canada nel 1941.
Yousuf Karsh fu un sopravvissuto del genocidio armeno da parte dei turchi e per tutta la vita mantenne questa sua forte identità legata alla minoranza armena fuggita tra l’Europa e l’America. Quando lo incontrai mi disse che aveva imparato a non riservare nessun sentimento di odio verso i persecutori e che nella sua fotografia l’unica cosa che ricercava era l’essenza del sentimento umano e della sua ineluttabile solitudine. Solo quel sentimento poteva portare alla luce un ritratto fedele alla maschera che il soggetto aveva deciso di mettere. Non a caso, Yousuf Karsh è noto per la sua famosa frase “Se c’è una singola qualità condivisa da tutti i grandi uomini è la vanità”. Nonostante ciò lui, che ha fotografato i potenti del mondo e le grandi star del cinema e dell’arte, aveva un candore e una semplice naturalezza nell’approcciare i suoi soggetti. Forse, proprio per questo, oltre alla vanità ne sapeva ritrarre sia la forma che l’essenza.
Pochi giorni fa è venuto a mancare il grande chansonnier della canzone francese Charles Aznavour, un armeno che ha portato la sua musica in tutto il mondo mettendo al centro della sua arte l’amore e i sentimenti.
Nel 1987 ad Ottawa Karsh fotografa Aznavour nel suo studio, realizzando un ritratto privo di vanità. Il grande cantante ha uno sguardo da fanciullo, un volto da menestrello, dal sapore circense; lo scatto testimonia un’amicizia sincera dove la sofferenza del loro popolo ha fortificato l’amore per la vita che resta, nonostante le sofferenze subite, qualcosa per cui battersi con impegno mettendo in campo professionalità e tanto talento.
L’anno scorso all’Arcimboldi di Milano, Aznavour fece il suo ultimo concerto in Italia e una luce del teatro proiettò la sua ombra sul muro proprio vicino a dove ero seduto. Mi piace ricordarlo così, “Larger than life” una sagoma nera seduta con un microfono in mano.
La grande cultura di tolleranza e cosmopolitismo degli armeni oggi piange due grandi artisti, che ebbero anche uno stretto rapporto di affinità culturale con il mondo ebraico per un’inevitabile affinità identitaria dovuta a vicissitudini storiche simili a cui hanno saputo reagire con forza e resilienza.
Ruggero Gabbai
(7 ottobre 2018)