Periscopio – Wilhelm Reiter
È stato presentato, lo scorso giovedì 5 ottobre, presso il Museo e Bosco di Capodimonte di Napoli, nel corso di un’affollata e stimolante manifestazione (promossa, oltre che dal Museo, anche dal Comune di Napoli, dalla Fondazione Valenzi e dalla Fondazione Premio Napoli) – alla quale hanno partecipato, oltre all’autore, Sylvain Bellenger (Direttore del Museo), Lucia Valenzi (Presidente della Fondazione Valenzi), Domenico Ciruzzi (Presidente della Fondazione Premio Napoli), Mary Ellen Countryman (Console Generale degli Stati Uniti a Napoli), Gaetano Daniele (Assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli), Riccardo Notte e il sottoscritto – un libro di grande eleganza grafica (ricco di molte bellissime immagini) e alto interesse culturale e artistico, appena pubblicato dall’editore internazionale Edgewise (New York, Paris, Savignano sul Panaro): Seeing Naples. Reports from the Shadow of the Vesuvius.
L’autore è Daniel Rothbart, un artista statunitense di noto talento (di cui abbiamo ricordato, su queste colonne, le importanti ricerche sull’influenza della mistica ebraica sull’arte informale americana), che, avendo trascorso, dal 1991 al 1994, tre anni di studio nella città partenopea, ha voluto rendere testimonianza delle molteplici impressioni e suggestioni da lui ricevute durante tale soggiorno, e successivamente oggetto di riflessione ed elaborazione, offrendo ai lettori americani e italiani una sorta di originale e suggestivo “diario di viaggio”, nel quale molteplici aspetti della storia, del costume e della cultura napoletana (dalla Repubblica del 1799 alle Quattro Giornate, da Totò a San Gennaro, da Carlo III a Eleonora Pimentel Fonseca, dal cimitero delle Fontanelle a Raimondo di Sangro, da Giusepe di Sanmartino a Masaniello, dal culto dei morti alla Napoli ebraica, a Sophia Loren e tanto altro ancora) vengono passati in rassegna in una narrazione avvincente, ironica, poetica e anticonformista, frutto dello sguardo di un osservatore attento e curioso, in grado di inserire fatti e personaggi in un affresco pittoresco e a tratti sorprendente, scevro di retorica e luoghi comuni (che, com’è noto, tanto appesantiscono, da sempre, Napoli e le sue rappresentazioni artistiche e letterarie).
Tra i tanti capitoli del libro, tutti di alto significato, vorrei, per ora, menzionarne soltanto uno, dedicato a una figura che ha impreziosito, con la sua presenza, la capitale del Mezzogiorno, e che ha lasciato un ricordo indelebile in tutte le molte persone che, in passato, hanno avuto la fortuna di conoscerlo di persona. Mi riferisco a Wilhelm Reiter, persona di rara sensibilità e umanità, grande e umile testimone delle immani tragedie del scolo scorso. Scampato miracolosamente alla Shoah, che aveva inghiottito gran parte della sua famiglia, Reiter raggiunse, dopo la guerra (e dopo un travagliato viaggio dall’Austria, sua terra d’origine, dove era nato nel 1922), Napoli, dove rimase fino alla fine della sua vita. Per diverse traversie subite, si trovò a trascorrere gli ultimi anni nella condizione di un cd. ‘barbone’, vivendo in una casa non abitabile di Pozzuoli, danneggiata dal terremoto del 1980 e da lui abusivamente occupata, priva di luce, gas ed elettricità, mantenendosi grazie alla carità dei vicini.
Ebreo osservante, ogni sabato mattina si recava nella sinagoga di via della Cappella Vecchia, e, per non trasgredire il precetto del riposo dello shabbat (dal quale, in ragione della usa età avanzata, avrebbe ben potuto essere esonerato), ci andava a piedi, facendo, a ottant’anni superati, almeno quindici chilometri all’andata, e altrettanti al ritorno. Daniel Rothbart si recò più volte (una volta insieme a me, con le amiche Anna Del Giudice ed Elena Giobbe) a trovarlo, per raccoglierne le memorie in una lunga intervista registrata. Non dimenticherò mai la straordinaria serenità di Wilhhelm, il suo sorriso contagioso e la luce che emanava dai suoi occhi: tutte cose che parevano contraddire in modo stridente la difficoltà delle sue condizioni materiali.
Nullatenente, vecchio e solo (la moglie era vivente ma, gravemente malata, ricoverata in una casa di cura), sembrava non avere bisogno di nulla. Aveva un fratello ricco, che, dopo la guerra, aveva trovato rifugio, insieme al padre, in Canada, dove aveva avuto successo come notaio, e che lo aveva invitato più volte a raggiungerlo. Ma Wilhelm aveva sempre rifiutato. Perché mai avrebbe dovuto andarci? “He was tired of running away – scrive Rothbart -, and content to live out his life beside the sea”. Dove stava aveva tutto, non gli mancava nulla.
La sua storia mi ricorda l’aneddoto del filosofo cinico Diogene, che viveva in una botte e disdegnava ogni sia pur minima forma di possesso. Una volta il sommo conquistatore Alessandro Magno, padrone del mondo, incuriosito, si recò da lui e chiese se avesse bisogno di qualcosa. Chi aveva tutto credeva di poter facilmente fare felice chi non aveva nulla, dandogli qualcosa. Diogene non deluse il suo benefattore, e gli fece una richiesta: “spostati, per favore, perché stavo prendendo il sole, e tu mi fai ombra”.
Onore a Diogene, onore a Wilhelm, e grazie a Daniel per averci ricordato questo grande, piccolo eroe, in grado di restituirci, in questi tempi bui (pieni di “pseudo-Alessandri” da quattro soldi), un po’ di speranza e fiducia nella dignità dell’uomo.
Francesco Lucrezi, storico