Figli
Sara vide il figlio che l’egiziana Hagar aveva partorito ad Abramo che giocava” (Bereshit 21,9), e chiede al marito di scacciare la schiava ed il figlio affinché quest’ultimo non sia “erede” insieme ad Yitzhak (Bereshit 21,10). Il Signore, di fronte al dispiacere e alla perplessità di Avraham all’idea ad allontanare un figlio comunque suo, gli dice di ascoltare sempre la moglie.
L’ambiguità del vocabolo מְצַחֵֽק metzahek (giocava, ma anche rideva o derideva) viene spiegata dalla tradizione midrashica seguita anche da Rashi, secondo il quale Ishmael si dava all’idolatria, a peccati sessuali e all’assassinio (Bereshit Rabbà 53,11): secondo il midrash dunque l’atteggiamento di Sara non è duro ed egoista, improntato dalla gelosia per il figlio avuto dal marito con un’altra donna e dal timore che i due figli di Avraham ereditassero insieme, bensì preoccupato dal cattivo esempio che Ishmael poteva fornire ad Yitzhak.
Ishmael uccideva infatti uccellini e cavallette da mettere davanti a fantocci di argilla, venerando così gli idoli e proponendo ad Yitzhak di fare altrettanto. Il fratellino più piccolo lo guardava, e sua madre Sara, vedendoli, inorridiva intimando al figlio di non seguire quel gioco cattivo e proibito, mentre Ishmael rispondeva con insolenza che non si trattava di un gioco e che pregava veramente gli idoli come sua madre Agar.
Per questo, dunque, e non per una banale eredità, Sara chiede ad Abramo che suo figlio non cresca insieme al figlio della schiava, e per questo il Signore dice ad Avraham di ascoltare Sara, qualunque cosa ella dica, e di aver scelto Yitzhak come progenitore del suo popolo: perché non è idolatra, e rispetta l’eredità morale di seguire il Dio unico. Avraham ottiene comunque dal Signore l’assicurazione che anche Yishmael avrà una discendenza, prendendo un’altra strada oltre il deserto in cui Dio gli concederà di non perire.
Scrive su Il Fatto Quotidiano del 9 ottobre Nadia Somma, da anni impegnata nella rete dei centri anti violenza, a proposito di diversi recenti casi di infanticidio per mano di genitori violenti in conflitto con l’ex coniuge e della violenza sui minori come ritorsione verso l’altro genitore, che di solito questa è una forma di punizione estrema nei confronti della madre, privata dei figli – i quali sarebbero percepiti dal genitore violento come un’appendice materna, piuttosto che come figli anche propri. In misura (forse) minore questo avviene attraverso la violenza, più distillata e pervasiva perché meno facilmente tracciabile, manipolatoria e psicologica di chi strumentalizza un presunto interesse e la frequentazione dei figli per cercare di mantenere un controllo nella vita dell’ex partner.
Eccolo, il segno più grande dell’amore di Kadosh BaruchHu per l’uomo: averlo creato a sua immagine e somiglianza (בְּצַלְמֵנוּ כִּדְמוּתֵנוּ , letteralmente “a nostra immagine, a nostra somiglianza”, Bereshit 1,26, in un presunto dialogo tra Kadosh BaruchHu e gli angeli sull’opportunità di creare l’uomo, secondo Bereshit Rabbà 8,8, anche se altri come Shadal o Umberto Cassuto vi colgono piuttosto un plurale maiestatis).
A sua immagine, a sua somiglianza, non perché sia perfetto ma affinché abbia la possibilità di scegliere, e secondo il proprio libero arbitrio decidere se perseguire o meno il bene. Esortarci ad educare i figli seguendo i propri principi etici, ma lasciandoli liberi di scegliere.
Chi invece non sarebbe tentato dal volere i figli a propria immagine e somiglianza in un senso molto più egoista, possessivo ed utilitaristico, tentando di plasmarli secondo i propri desideri e facendone delle marionette che agiscono seguendo volontà ed aspirazioni dei genitori? E nel caso di genitori in conflitto, venendo tirati dall’una o dall’altra parte, come oggetti da spartirsi o, ancora peggio, da usare come arma nei confronti dell’altro. Sino alla distruzione di quell’immagine e somiglianza con Kadosh BaruchHu.
Sara Valentina Di Palma