La radice capovolta
La persecuzione delle esistenze fu possibile non solo per la presenza dell’esercito di occupazione, quello tedesco, ma per l’attiva collaborazione dei fascismo repubblicano. Il quale rivelò tratti ripugnanti, allucinati, avendo proprio nella concezione di una guerra mondiale come confronto razziale uno dei suoi fondamenti ideologici e programmatici più importanti. Non si trattava solo del pur consolidato tracciato che dal 1936-38 in poi era venuto affermandosi nel Paese ma di qualcosa di più e di peggio. Ora i neofascisti di Salò avevano la “prova” delle congiure e la manifestazione del «tradimento» che i nemici del fascismo avevano consumato alle sue spalle: monarchia, massoneria, «giudaismo internazionale» (del quale gli ebrei italiani erano una costola) ma anche «badogliani» erano le parti di un prisma tra di loro interagenti, anche se con ruoli e capacità diverse. Più che grazie a Mussolini, recuperato al ruolo di capo di un organismo fantoccio, la «questione ebraica» proruppe sulla stampa, nell’informazione e tra la propaganda attraverso l’enfatizzazione dei tratti più minacciosi degli stereotipi costruiti e socializzati negli anni precedenti. L’onnipresenza della guerra ne favoriva senz’altro la diffusione, dando corpo all’idea del «nemico in casa». Ma si alimentava anche della necessità di motivare l’adesione alla Repubblica sociale italiana tralasciando i residui toni di moderazione, se mai si fossero espressi durante il regime fascista, per passare ad un’ideologia di mobilitazione e combattimento totali. Il tutto doveva accompagnarsi ad una riformulazione dell’identità militante, galvanizzata non più da promesse improbabili se non inverosimili ma dal richiamo, quasi primordiale, ad una lotta feroce, esistenziale contro un nemico spietato. Il razzismo repubblichino assolse a questa funzione. Alla riproposizione enfatizzata dei cliché antisemiti si raccordò quindi quella dell’«invasione» angloamericana, raffigurata come una sorta di penetrazione fisica da parte di orde straniere, animate da una bramosia distruttrice. Con la formulazione e l’ufficializzazione del punto 7 del Manifesto di Verona, nel novembre del 1943 («Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica»), carta programmatica ma anche statutaria della Repubblica sociale italiana, gli ebrei italiani di fatto vedevano revocata la cittadinanza nei territori in cui l’organismo repubblichino operava. La loro condizione si trasformava definitivamente in quella di prede braccate, privati delle residue tutele giuridiche, anche e soprattutto di quelle più elementari. La caccia all’ebreo divenne parte integrante dell’agire neofascista, uno degli elementi più importanti attraverso il quale cercava di mantenere il controllo del territorio. L’ordinanza di polizia numero 5 del 30 novembre 1943, firmata da Guido Buffarini Guidi, ministro degli Interni di Salò, disponeva l’internamento sistematico degli ebrei «a qualunque nazionalità appartengano», con l’esclusiva eccezione degli ammalati gravi, degli anziani al di sopra dei settant’anni e per coloro che erano di “razza mista”. La sua concreta applicazione derogò anche da queste residue esenzioni. A corredo di ciò veniva aggiunto il sequestro di tutti i beni e dei patrimoni degli arrestandi oltre all’adozione di una «speciale vigilanza» nei confronti dei figli dei matrimoni misti, ancorché riconosciuti precedentemente come «ariani». Si concludeva in tale modo, tra le altre cose, anche la prassi delle «discriminazioni» riconosciute ad alcune categorie benemerite che, fino ad allora, avevano potuto godere di un trattamento meno pregiudizievole di quello imposto al resto dei correligionari. Il rastrellamento, spesso su base provinciale o comunque comunale, comportava la prigionia di fatto e la successiva consegna ai tedeschi. A tale criterio, che si consolidò da subito, non fu opposta alcuna obiezione per parte delle autorità territoriali e delle amministrazioni di Salò. La «questione ebraica» era divenuta appannaggio del più esasperato radicalismo. Tornava pienamente in auge un personaggio come Giovanni Preziosi, che nel maggio del 1944 fu nominato a capo dell’Ispettorato generale della razza, anche se nei fatti la sua azione, ispirata ai peggiori motivi, fu vincolata dalle dinamiche di potere e dalle lotte intestine al fascismo repubblicano. Preziosi si adoperò soprattutto per estendere il numero di coloro che potessero risultare perseguitabili, cercando di ampliare la nozione di appartenenza alla «razza ebraica». Con il 30 novembre 1943 peraltro i «capi delle province» della Rsi (già prefetti) avviarono l’istituzione dei campi di prigionia mentre le questure si predisponevano per passare agli arresti. Nel suo complesso, infatti, l’azione antiebraica operata dal settembre 1943 alla fine di aprile del 1945 dalla Repubblica sociale italiana, non fu il risultato di un gruppo di scalmanati ed esaltati che si imposero su una maggioranza altrimenti moderata, ma il prodotto del dispiegamento di una volontà, e quindi di una responsabilità, abbondantemente condivise. Basti pensare che molti arresti furono eseguiti dalla polizia ordinaria. Oltre alla caccia nei confronti delle persone l’antisemitismo di Salò si esercitò contro i loro beni e i patrimoni residui. Si trattava, in questo caso, di una vera e propria rapina “legalizzata” e legittimata. Il decreto legislativo di Mussolini del 4 gennaio 1944 relativo a Nuove disposizioni concernenti i beni posseduti dai cittadini di razza ebraica ridisegnava la natura degli espropri, trasformandoli da appropriazioni temporanee o cessioni “volontarie” in una generalizzata manifestazione di incapacità giuridica degli ebrei nell’essere possessori di beni. Alla decadenza della cittadinanza civile e politica si accompagnava la soppressione di ogni residua possibilità legale di sostentarsi materialmente. Questa martellante politica di annientamento morale, prima ancora che fisico, dell’ebraismo peninsulare sarebbe proseguita, in un clima di crescente surrealtà, anche negli ultimi giorni di esistenza della Rsi, quando ancora il 16 aprile 1945, il Consiglio dei ministri decretava, con uno schema di provvedimento legislativo, la soppressione delle comunità ebraiche come organismi di diritto.
(tratto da Claudio Vercelli, Francamente razzisti. 1938: storia e cronache delle leggi razziali, in uscita per il mese di novembre)
Claudio Vercelli