Protagonisti – Angelo Formiggini, il segno vivo di un grande editore
“Al tvajol ed Furmajin”. Il tovagliolo del Formaggino, in dialetto locale. Così sperava fosse ricordato lo spazio della piazza su cui il suo corpo sarebbe precipitato. Il punto conclusivo della traiettoria mortale dalla sommità della Ghirlandina, la torre del Duomo di Modena, al selciato. Finiva su quel “tvajol” la vita di Angelo Fortunato Formiggini, 60 anni compiuti il giugno precedente. Uno dei più eclettici e brillanti editori del Novecento. L’uomo che per l’Italia e l’Europa sognò il riscatto attraverso una Casa del ridere in cui far confluire la miglior produzione umoristica contemporanea: un progetto a lungo rincorso, destinato però a infrangersi definitivamente con l’entrata in vigore delle Leggi razziste. Per il 29 novembre prossimo, a 80 anni esatti dal suicidio, l’amministrazione comunale è al lavoro per dare completa attuazione al proposito del suo concittadino: il “tvajol” già menzionato in un’apposita targa potrebbe così diventare, all’interno della piazza, uno spazio intitolato al solo Formiggini. L’iter per il cambio di denominazione, fortemente auspicato dal Consigliere Antonio Carpentieri che in estate ha depositato ufficiale richiesta in tal senso, è stato avviato. La speranza di molti è che possa concludersi in tempi rapidi. L’intuizione di una Casa del ridere risale alla Grande Guerra: “L’Europa nuova che dovrà sorgere dalle rovine della vecchia Europa – sosteneva Formiggini – dovrà essere civile e fraterna; non vi potrà essere fraternità se vi sarà oppressione di un popolo sull’altro, ma nemmeno se non ci sarà comunione di cultura fra i popoli. E converrà soprattutto che i popoli si conoscano nei loro aspetti più simpatici e umani, cioè appunto nella loro peculiare gaiezza e nelle particolari colorazioni che presso ciascuno di essi assume l’amore alla vita: ridere è amore di vita”. E ancora, quando il primo conflitto mondiale si avviava verso la conclusione: “Io ho sempre creduto che il ridere sia il più caratteristico sigillo dell’umanità, un fenomeno pertanto fra i più seri e più nobili che il nostro spirito possa volgersi a studiare. Considero il ridere come un fresco e lieto segno di vita che gli dèi hanno concesso agli uomini e mi pare che il Ridere, in astratto, si personifichi in un dio a cui val la pena di erigere un tempio nel quale raccogliere tutti i documenti e i monumenti della giocondità dei vari popoli del mondo”. Il ruolo che Formiggini ha avuto nella cultura italiana del Novecento è ormai acquisito, sostiene Alberto Cavaglion. La pubblicazione di numerosi studi storici e letterari attraverso l’omonima casa editrice. L’intuizione de L’Italia che scrive. Rassegna per coloro che leggono, fondata nel 1918. La creazione nel ’19 dell’Istituto per la propaganda del libro, il progetto di dar vita a una Grande Enciclopedia Italica che, per l’opposizione di Giovanni Gentile, gli sfuggirà di mano e diventerà poi per iniziativa di altri la Treccani. Ma la sua riscoperta, in un paese che spesso per viltà ha preferito dimenticare, è comunque recente. “Molto sappiamo oggi delle sue iniziative editoriali – osserva Cavaglion, in un suo saggio sull’affratellamento umoristico auspicato da Formiggini – ma è stato necessario un lungo tempo prima che ci si accorgesse di lui e, soprattutto, dell’assurdità della sua morte. Quanti oggi lamentano un eccesso di Shoah nella italica Repubblica del Dolore dovrebbero innanzitutto riflettere sulla decennale amnesia collettiva che ha riguardato l’ideatore della Casa del Ridere”. Al centro del museo, sottolinea Cavaglion, avrebbero dovuto trovare posto i pezzi satirici e umoristici composti in trincea dai soldati. “Non l’eroismo bellicista attraeva Formiggini, né il vittimismo dolente, ma un antieroismo umano. Non diversamente da Benjamin, vedeva nel collezionista l’uomo della vita che raccoglie le cose morte per farle rinascere”. Sperava di trovare per la sua Casa una sede idonea a Modena, “ma nessuno lo ascoltò”. E così il suo rimase un sogno. Poche ore prima di salire sul treno che per lʼultima volta lo riporterà da Roma a casa, Formiggini lascia questo messaggio ai modenesi: “Ecco, con un estremo atto di disciplina elevo il mio bravo saluto al Duce e poi lancio dallʼalto il mio alto grido: Italia! Italia! Italia! E lancio dallʼalto anche me stesso: bumf”. Goliardico fino in fondo, ma straziato in modo irrimediabile dal tradimento delle Leggi razziste. Si legge nella voce che la Treccani gli ha dedicato: “Toltagli la possibilità di parlare attraverso le sue edizioni e le sue riviste, non volle morire in silenzio ma riaffermare con forza davanti a tutti il valore e la dignità della propria esistenza spesa per il superamento di ogni discriminazione tra gli uomini”. Ottanta anni dopo quel messaggio torna ad essere più che mai vivo, patrimonio non solo più di pochi appassionati frequentatori delle vicende del libro ma di una intera collettività.
Adam Smulevich, Pagine Ebraiche, ottobre 2018