“Vittorio Foa, spirito libero”
“Intellettuale, antifascista, parlamentare, sindacalista. Ma anche molto altro. Voglio ricordarlo come uno spirito libero. E come un uomo, nelle molte vite che ha vissuto e che ci ha fatto conoscere, di assoluta coerenza tra pensiero e azione”.
A dieci anni dalla sua scomparsa, in occasione del convegno di studi organizzato nella sala capitolare del chiostro del convento di Santa Maria sopra Minerva da Senato della Repubblica e Archivio Centrale dello Stato, la Presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati rende omaggio alla memoria di Vittorio Foa con parole non formali. Un riconoscimento vivo della centralità di una figura che ha lasciato il segno scrivendo pagine indimenticabili di storia nazionale. Sia durante il Ventennio, cui si oppose dalla prima ora pagando questa scelta con lunghi anni di carcere. Sia negli oltre 60 anni di successiva vita democratica del paese cui contribuì fino all’ultimo con tenacia e determinazione. “Le tappe fondamentali della sua vita sono le tappe stesse della nostra storia” sottolinea Casellati nell’intervento con cui si apre la seconda sessione del convegno, curato nei temi da Federica Montevecchi e Andrea Ricciardi.
Dalla lotta contro il regime che lo vide abbracciare anche la Resistenza all’esperienza sindacale, dal suo segno sulla Carta costituzionale alle diverse fasi di un impegno politico che fu intenso e appassionato. E l’attualità del suo messaggio, i suoi moniti contro il razzismo e l’intolleranza dilagante che sembrano scritti oggi. Tanti i temi che sono stati sollevati dagli studiosi coinvolti nella giornata in onore di Foa. Ma anche uno sguardo più intimo, sul finale, che viene offerto nelle loro relazioni dalle figlie Bettina e Anna.
Ad essere approfondito da quest’ultima anche il suo rapporto con l’identità ebraica. “Nel suo modo, laico e cosmopolita, aveva un legame forte. Era un qualcosa cui teneva molto” sottolinea la figlia.
Le Leggi razziste lo raggiungono in stato di detenzione nel carcere romano di Regina Coeli. È da quel luogo, pur recluso, “che prima di altri capì la direzione in cui si stava andando”. Lo si evince anche dalle lettere inviate ai suoi cari, di cui è stato fatto un accenno ieri. Un’occasione anche per elaborare il trauma di un impegno antifascista che fino ad allora gli era costato “tanta solitudine”.
Un periodo cui torna anche in età avanzata, dedicandosi spesso a volentieri a riflessioni sul significato e sul valore della Memoria in Italia. “Le vicende del Sudafrica, con Desmond Tutu e la commissione Verità e Riconciliazione, lo spingono a sottolineare come questa memoria abbia un grave handicap, il mancato riconoscimento della colpa: la colpa dell’indifferenza, dell’aver taciuto, dell’aver collaborato con gli assassini. Penso che quanto accade oggi in Italia – sottolinea Anna – gli avrebbe sollecitato altri dubbi sul nostro modo di ricordare, altre domande sull’incapacità della memoria di sradicare l’odio e il razzismo”.
(23 ottobre 2018)