Protagonisti – Franco Modigliani, italiano d’America ancora in cattedra
È il momento storico in cui la sinistra italiana diventa “responsabile”, con diramazioni e conseguenze fino ad oggi. Per salvare l’economia italiana da una crisi spaventosa si fa carico delle “compatibilità”, oggi diremmo del vincolo esterno. Chiede sacrifici ai lavoratori. S’impegna a una dura disciplina, anche per ricostruire la fiducia degli investitori. L’epoca è l’inizio degli anni Ottanta. Iperinflazione e terrorismo. Svalutazioni e fughe di capitali. Debito pubblico impazzito, tassi alle stelle, la liretta che affonda. È in quel frangente drammatico che l’economista Franco Modigliani dall’America spende tutto il suo capitale di prestigio e credibilità, per spingere alla svolta virtuosa. La sua influenza è enorme per tante ragioni. Ebreo emigrato dall’Italia mussoliniana nel 1939, è uno degli intellettuali antifascisti di punta, nella cerchia che si riunisce intorno a Gaetano Salvemini, a Boston. Unico italiano ad aver vinto il premio Nobel dell’economia, al Massachusetts Institute of Technology (Mit) è diventato il maestro di generazioni di economisti, tra cui molti dirigenti della Banca d’Italia, come Mario Draghi. Modigliani dagli Stati Uniti anima un dibattito sull’iper-indicizzazione dell’economia italiana: contesta il punto unico della scala mobile, concordato nel 1975 dal presidente della Confindustria Gianni Agnelli col segretario della Cgil Luciano Lama. Quel meccanismo adegua i salari dei lavoratori dipendenti all’inflazione, compensando circa l’80% del rincaro del costo della vita. Doveva garantire la pace sociale ma c’è riuscito in minima parte: l’Italia resta paralizzata dagli scioperi, ed è insanguinata dagli attacchi delle fazioni terroristiche. Inoltre la cosiddetta contingenza, che arriva a coprire oltre metà del salario, provoca un appiattimento egualitario che non premia il merito né incentiva la produttività. Modigliani è la voce più autorevole che denuncia il danno: dopo gli shock petroliferi degli anni Settanta, la scala mobile è una macchina che perpetua l’inflazione. Gli automatismi impediscono di fare politica economica, “la nave va” da sola alla deriva, nel mare in tempesta. Nel 1981 il costo della vita sale del 20 per cento, i tassi sul debito pubblico sono anch’essi a due cifre, la spirale è da “sindrome argentina”. Modigliani insiste sull’esigenza di tagliare o congelare parzialmente l’indicizzazione dei salari. Viene accusato di essere “la voce del padrone”. Il più importante interlocutore che ha in Italia è un suo ex-allievo, l’economista Ezio Tarantelli, consulente della Cisl di Pierre Carniti: pagherà il prezzo più alto di tutti, assassinato dalle Brigate Rosse. Quando passa l’accordo per tagliare la scala mobile c’è anche la firma del segretario della Cgil Bruno Trentin, che subito dopo si dimette prendendo atto della rottura col Pci. La sinistra si lacera, Enrico Berlinguer promuove il referendum contro il taglio della contingenza e lo perde. Il Psi di Bettino Craxi è vincitore. Non tutti gli attori replicano il comportamento responsabile del movimento sindacale: manca all’appello, per esempio, la riforma della pubblica amministrazione che resta una palla al piede per la competitività italiana. Il quadro mondiale è quello di una restaurazione conservatrice: alla Casa Bianca arriva Ronald Reagan, campione del neoliberismo. È l’inizio di un trentennio che sposterà brutalmente i rapporti di forze, riducendo i salari per aumentare i profitti. Ma l’Italia supera la tempesta e avvia un risanamento. La lezione di Franco Modigliani viene raccolta da Carlo Azeglio Ciampi che ripeterà il messaggio: non si tutelano i più deboli con l’inflazione e il caro-credito; la stabilità dei prezzi e la forza della moneta non sono valori di destra. Inizia in quegli armi la lunga marcia dell’Italia verso l’euro (dopo l’esperimento intermedio del Sistema monetario europeo, Sme). L’approdo alla moneta unica sarà merito o colpa storica del centrosinistra, il giudizio finale cambierà a seconda delle stagioni politiche. L’accelerazione verso l’euro, dopo la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione tedesca, avverrà però sotto il segno dominante dell'”ordoliberismo” germanico e dell’austerity. E la dottrina del Patto di Stabilità verrà criticata dai neokeynesiani alla Modigliani, una sinistra che include altri premi Nobel come Kenneth Arrow e Robert Solow, Paul Krugman e Joseph Stiglitz. Modigliani non aveva smesso di essere una coscienza critica dell’Italia, sempre con la stessa autonomia di pensiero. Uno dei suoi ultimi gesti prima di morire nel 1983 è stato un appello sul New York Times, scritto con gli altri due premi Nobel per l’Economia, Samuelson e Solow, per protestare contro il premio dato a Berlusconi da un’associazione di ebrei americani. Ma è intervenuto anche ogni volta che ha visto a sinistra sintomi di un’involuzione conservatrice o assistenziale: ha preso posizione in favore della riforma delle pensioni (innalzamento dell’età) contro le resistenze sindacali. Ha sempre sostenuto gli stessi principi sia che al governo fossero Romano Prodi o Silvio Berlusconi: ha difeso quest’ultimo sull’articolo 18, in nome della flessibilità del lavoro. Ha dato agli italiani un esempio di coerenza e di rigore morale: non conosceva logiche di schieramento. Questa integrità intellettuale faceva di lui un italiano anomalo, sempre vittima di processi alle intenzioni. Avrebbe voluto morire orgoglioso del Paese in cui era nato, e a cui ha dedicato l’amore di un padre severo. La sua parabola di vita racchiude i periodi storici che è più importante studiare oggi. Il Modigliani esule in America ci riporta agli anni Trenta, un periodo che oggi viene spesso citato in maniera apodittica, per evocare la “peste nera” dei nazifascismi, ma senza approfondire gli errori della sinistra che spianarono la strada alla barbarie. Il secondo Modigliani, quello che intervenne nel nostro dibattito degli anni Settanta-Ottanta, può aiutarci a rivisitare un altro periodo cruciale in cui le liberaldemocrazie dell’Occidente sembrarono in ritirata, incapaci di fronteggiare il “sovraccarico” di aspettative e di conflitti sociali.
Federico Rampini, La Repubblica, 24 ottobre 2018