Ladri di tombe
Sulla morte, avvenuta nei giorni scorsi, di Robert Faurisson, il più noto negazionista, ci sarebbe poco o nulla da aggiungere al molto che è già stato detto, in queste e su altre pagine, se non fosse per il fatto che la sua dipartita costituisce un evento destinato a pesare nel microuniverso dei negatori e dei complottisti indefessi. Faurisson riusciva ad odiare di più i morti di quanto non gli riuscisse nei confronti dei vivi. Per questo era un “resuscitatore” di anime, alle quali negava il riscontro oggettivo di essere trapassate. La sua maggiore offesa morale stava esattamente in questo, ovvero nel non riconoscere non solo un dato di fatto (lo sterminio) ma anche nel non concedere a quanti ne erano state le vittime il diritto di riposare una volta per sempre. Un “raddrizzatore” di morti. La sconcezza di questo atteggiamento è alla base del rifiuto etico da opporre, adesso e per sempre, al negazionismo. Che non è una “corrente storiografica”, non costituisce una teoria, ancorché stravagante, non istituisce una qualche forma di pensiero, semmai essendo l’esatto opposto di tutto ciò, ovvero il loro capovolgimento deliberato. Ma anche per questo il negazionismo ha una sua pervicace resistenza, costituendo una sorta di contronarrazione della realtà, una specie di ricostruzione virtuale, prima ancora che una contraffazione deliberata, del passato. Il quale viene rifatto ad immagine e somiglianza di chi nega l’oggettività non solo di un dato storico ma anche e soprattutto della sua rilevanza civile per il presente. Poiché il nocciolo della negazione è sempre politico: celare la tragedia dei morti per mano criminale e assassina serve essenzialmente per liberare quella medesima mano dalle responsabilità che si è assunta nel momento in cui si è levata contro degli indifesi. L’intera costruzione della negazione d’altro canto è essenzialmente una banalizzazione del male (ancora una volta, affermare ciò costituisce cosa diametralmente diversa dal dire, oramai in maniera chiaramente bislacca, comunque inflazionata, che vi è una “banalità del male”), depurandolo della dimensione non demoniaca ma, per l’appunto, umana del suo manifestarsi. Il male non è mai banale poiché è umano, e l’umanità, quando si esprime, non è mai superficiale, occasionale, puramente ripetitiva. Il negazionismo cancella questa radicalità, ne fa strame, la sostituisce con la logica dell’occultamento, qualcosa che approssima coloro che ne sono depositari ai ladri di tombe che, nottetempo, violano i resti mortali e le spoglie dei defunti poiché non sentono la vita che in essi continua a riposare, ancorché in forma traslata. Al crimine nazista si è risposto con la rivendicazione del diritto all’esistenza. È questa la vera, l’unica “vendetta” possibile. Ed è questa l’elezione di cui si è depositari, da inverare di giorno in giorno.
Claudio Vercelli
(28 ottobre 2018)