Controvento – Orgoglio
Quando ero bambina, mio padre amava ripetermi quanto ero fortunata di essere ebrea, di appartenere a un popolo così antico e glorioso, che aveva dato al mondo il monoteismo, il sabato e i dieci comandamenti. Arrivata all’età della ragione (e della contestazione), cominciai a ribattergli che non vedevo dov’era poi questa grande fortuna: ci discriminano, ci perseguitano, ci insultano, ci uccidono. Non sarebbe meglio essere nati come tutti gli altri e vivere tranquilli senza paure per il futuro? Non capisci, rispondeva papà: ci perseguitano perché sono invidiosi, perché il nostro è un popolo straordinario, tu devi esserne fiera e ringraziare il Signore.
Queste parole mi vengono in mente oggi, mentre sono a Genova, al Festival della Scienza dove Israele è il Paese ospite, e intanto giornali e TV rimandano incessantemente le immagini del massacro di Pittsburgh.
Dopo l’elezione di Trump la violenza antisemita è tornata in primo piano anche negli Stati Uniti. E la “licenza di odiare” ispirata da uno stratega razzista, antisemita e suprematista bianco come Steve Bannon non è estranea al fenomeno. Noi europei ci siamo purtroppo abituati, per gli americani è uno choc e c’è da sperare che almeno serva a dare più potere a chi è contro il razzismo e contro la facilità per i civili di detenere e utilizzare armi.
Certo, in questo momento è di nuovo preoccupante essere ebrei. I segnali di un ritorno al fascismo razzista ci sono tutti, e ovunque, e sappiamo per esperienza che alla fine le prime vittime saremo noi, come è sempre successo.
Eppure, qui a Genova, come si fa a non sentirsi orgogliosi di essere ebrei? Le università e gli scienziati ospiti, le mostre allestite, le fotografie dei grandi scienziati e dei premi Nobel, sono un straordinaria testimonianza della sete di conoscenza, dell’ingegnosità, della passione per la ricerca, del desiderio di migliorare il mondo che ha portato un piccolo Paese, grande poco più della Liguria, ai primi posti al mondo per società quotate al Nasdaq (la Borsa della tecnologia), per numero di Premi Nobel, per investimenti in ricerca e sviluppo.
Mio padre ricordava come i bambini ebrei, già nel Medioevo, quando i principi erano spesso analfabeti, andavano al heder a tre anni, e a sei sapevano leggere, scrivere e recitare passi del Talmud e della Mishnà. Siamo il popolo del Libro, mi ripeteva, libro come metafora del desiderio di conoscenza, dell’amore per la cultura. E mi viene in mente una analogia. Forse Israele è odiato e boicottato proprio per i suoi successi, per aver trasformato, contro ogni previsione, il deserto in un giardino, per aver costruito dal nulla Università prestigiose e centri di ricerca ai quali si appogginao le più importanti industrie tecnologiche, per aver saputo creare tanto grazie a persone che, secondo i calcoli di chi deteneva il potere, non avrebbero nemmeno dovuto essere vive.
Leggevo qualche giorno fa un articolo sui mediocri (non l’ho conservato e quindi non posso citare la fonte), in cui l’autore sosteneva che i mediocri, non potendo ammettere la propria pochezza, devono demonizzare chi è capace e ha successo, attribuirgli complotti, fini inconfessabili, manovre oscure. Tutti hanno i loro torti, i governi e i cittadini di ogni Paese, e a questo non sfuggono né Israele né gli ebrei.
Però, e qui a Genova in particolar modo, dò ragione a mi padre, e nonostante le paure e le inquietudini, mi sento felice e orgogliosa di partenere un popolo che tanto ha dato all’umanità. E tanto ha ancora da dare, se ci lasceranno sopravvivere.
Viviana Kasam
(29 ottobre 2018)