La ministra Trenta in sinagoga
“Lavoriamo per un futuro di pace”
Parteciparono in gran numero, pronti a dare tutto per quella patria che finalmente li riconosceva come cittadini a pieno titolo. Passarono vent’anni e le Leggi razziste sancirono il tradimento. Molti tra i decorati finirono così per essere prima emarginati e poi deportati senza ritorno in un campo di sterminio.
In occasione del centesimo anniversario dalla fine della Grande Guerra la visita del ministro della Difesa Elisabetta Trenta al Tempio Maggiore di Roma ha oggi riaffermato l’importante contributo degli ebrei italiani in quel conflitto al centro in queste settimane di varie iniziative. Una pagina rievocata insieme al rabbino capo rav Riccardo Di Segni, alla presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello e alla presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni.
“Parteciparono in 5mila da tutta Italia, metà dei quali con il grado di ufficiale. Gran parte dei reduci subì l’effetto delle Leggi razziste. Questo per comprendere la portata di quel tradimento” ha sottolineato la presidente Dureghello dopo un momento solenne davanti alla lapide commemorativa in cui si ricordano gli ebrei romani caduti.
“È fondamentale trasmettere ai nostri giovani cosa è accaduto, l’orrore assoluto che la guerra rappresenta. Solo così non avranno più modo di vederne” ha esortato la presidente Di Segni. Mentre il rabbino capo ha ricordato come, nelle tante biografie accurate che oggi raccontano la partecipazione ebraica alla Grande Guerra, l’ultima riga relativa alla vita tanti decorati “riporti data e luogo della deportazione”. Un fatto angosciante su cui è arrivato l’invito a riflettere.
“Oggi ci stringiamo intorno a tutti voi, per affermare con forza il rispetto della vita e dei valori umani e civili che ci contraddistinguono” ha sottolineato la ministra Trenta, facendo riferimento all’attentato alla sinagoga di Pittsburgh ed esprimendo solidarietà per la recente scomparsa di Lello Di Segni, ultimo sopravvissuto al rastrellamento nazista del 16 ottobre 1943. “Ancora oggi – ha proseguito la ministra – la Shoah rappresenta una ferita aperta e dolorosa per tutta l’umanità, e conoscerla e cercare di comprenderne le ragioni significa produrre gli anticorpi all’intolleranza, ai pregiudizi razziali, ai regimi dittatoriali”.
Il compito è quindi quello di “richiamare alla memoria e alla conoscenza delle giovani generazioni quelle tragiche pagine di storia, affinché nel dialogo cresca la consapevolezza del bene comune per contribuire a un futuro di pace contro ogni forma di antisemitismo, razzismo e discriminazione”.
(31 ottobre 2018)