Una ripugnante contraddizione
L’orribile strage di Pittsburg, al di là dello sgomento per la ferocia del crimine, e per il suo carattere di gesto ampiamente preannunciato, meticolosamente programmato e pianificato dal suo autore – che in nessun modo può essere definito ‘pazzo’, in ragione dell’assoluta lucidità e coerenza dei suoi aberranti ragionamenti -, impone delle considerazioni sulla natura delle minacce incombenti oggi, in tutto il mondo, sulla tenuta dei valori di libertà, civiltà e pacifica convivenza e, segnatamente, sulla sicurezza delle varie comunità ebraiche, tanto della diaspora quanto in Israele (un problema, quest’ultimo, che è evidentemente inscritto all’interno del primo).
Mai come stavolta, infatti, si è dovuto constatare come tra le parole e i fatti, le idee e le pallottole, l’odio e la morte, il passo possa essere molto breve. E come i velenosi serpenti del morbo antisemita, sparsi, a migliaia, in pressoché tutti gli angoli della terra, siano pronti ad azzannare vittime innocenti. Queste serpi, come mi è capitato di dovere sottolineare ormai innumerevoli volte (pur trattandosi di una considerazione ovvia) mostrano i colori più diversi: nero, rosso, verde…. Ma il loro veleno è sempre lo stesso, così come uguali sono i loro bersagli. Fingono, i rettili, di essere diversi, anzi, nemici tra di loro. Ma si tratta di una finzione ridicola. I deliranti proclami di Robert Bowers sono assolutamente identici a quelli dei terroristici islamici, pur da lui odiati in quanto musulmani.
Eppure, ancor’oggi molti analisti, osservatori, politici, cittadini si ostinano a fare distinzioni e a segnare precise gerarchie di nocività tra le diverse manifestazioni, verbali o fisiche, di antisemitismo. Per molti osservatori “di sinistra”, solo l’antisemitismo “di destra” sarebbe pericoloso, e viceversa. E anche il tradizionale odio antiebraico di matrice neonazista, le cui potenzialità dovrebbero essere ben conosciute, si trova così, in determinati ambienti culturali, a essere ampiamente sottovalutato, ridotto a un fenomeno marginale, quasi folcloristico, un sottoprodotto, sgradevole ma trascurabile, del fisiologico dibattito politico. Ma una cosa particolarmente grave e incomprensibile, secondo me, è il fatto che perfino diversi difensori di Israele, sulla base della pervicace convinzione che il pericolo sia solo quello islamico (o, magari, ‘comunista’), si ostinano a fare assurdi sconti a forze politiche considerate “di destra” alle quali, in quanto “anti-islamiche” (o ‘anticomuniste’), viene tranquillamente perdonato di ospitare tra le proprie fila soggetti che dovrebbero solo essere sbattuti in galera. E ciò, magari, in difesa del ‘sovranismo’, dei “valori dell’Occidente”, dei sacri confini della patria. Valori e confini che erano molto cari a Bowers, che odiava gli ebrei, tra l’altro, in quanto “amici degli immigrati”, fautori dell’accoglienza e del ripugnante multiculturalismo.
Non attribuisco direttamente la responsabilità di quanto è successo, come pure è stato fatto, al clima d’intolleranza creato, o favorito, dall’attuale amministrazione degli stati Uniti. Nel mio articoletto pubblicato all’indomani della sua inattesa vittoria, scrissi, rivolgendomi al neoeletto Presidente Trump, che, se avesse mantenuto almeno una di due importanti promesse fatte agli elettori – spostare a Gerusalemme l’Ambasciata statunitense, e abbandonare l’accordo nucleare con l’Iran -, avrei perdonato le tante idiozie da lui dette durante la campagna elettorale. Le ha mantenute entrambe, e lo apprezzo fortemente per questo. Ma nessun impegno a favore di Israele potrà mai giustificare alcuna indifferenza, minimizzazione, ambiguità o connivenza nei riguardi di intolleranza etnica, xenofobia, antisemitismo, suprematismo razziale. Mai. È una ripugnante contraddizione in termini essere amico di Israele e strizzare l’occhio al Ku Klux Klan o a ‘sovranisti’ antisemiti della peggiore specie.
Trump ha invocato, per il responsabile, la pena di morte. Io, essendo ad essa contrario per principio, sempre e dovunque, resto della mia opinione, anche se non piangerei certo per l’esecuzione di questo essere immondo. Ma è una pura presa in giro illudersi che possa bastare la sedia elettrica a risolvere il problema. Essa, in ogni caso, arriverebbe comunque ‘dopo’, e servirebbe solo a dissetare il dio Moloch, a dare un contentino a parte dell’opinione pubblica e ad avere una bara un più (sia pur riempita con le ossa di una belva). Ci sarebbero tante altre cose, molto più serie e utili, da fare ‘prima’, e non dopo. Purché, naturalmente, ci sia una vera volontà di affrontare il pericolo, e purché lo si consideri effettivamente tale.
Francesco Lucrezi
(31 ottobre 2018)