Gli amici di Israele
Israele sta forse diventando, giorno dopo giorno, una ‘cosa’ sempre più di destra, o addirittura di estrema destra? È una domanda che, piaccia o non piaccia, non può non porsi, e non tanto per la persistente egemonia politica, all’interno del Paese, dei partiti conservatori (comunque non assoluta: nelle recenti elezioni municipali hanno largamente vinto le forze di ispirazione laburista), quanto per le pubbliche manifestazioni di sostegno allo Stato ebraico – in America come in Ungheria, in Italia come in Polonia – da parte di partiti e governi ultraconservatori, molto poco sensibili ai temi dei diritti umani e civili. Da ultimo, le plateali dichiarazioni filosioniste del neo-Presidente del Brasile, Bolsonaro, che si è detto pronto a spostare anche lui, come Trump, l’ambasciata del suo Paese a Gerusalemme.
Non ci si può non compiacere di una decisone così significativa, da parte del governo di una delle più importanti nazioni del pianeta. Ma è un fatto che questo amore per Israele viene esibito da un signore che dice che le donne dovrebbero guadagnare meno degli uomini, che è meglio avere un figlio morto che gay, che ha fatto una figlia femmina solo perché quel giorno non era in forma, che durante la dittatura sono stati uccisi troppo pochi oppositori ecc. ecc. Un signore che – da buon ‘buonista’ – vede bene vestito di una pelle di leopardo, e con una pesante clava in mano. Provo una grande nostalgia per gli anni in cui gli amici di Israele si chiamavano John e Bob Kennedy o Martin Luther King. Ma i tempi cambiano, oggi quasi tutti i cosiddetti ‘progressisti’ del mondo (perfino quando ebrei, come Bernie Sanders), con poche, lodevoli eccezioni, sono freddi verso Israele, quando non apertamente ostili. Bisogna prendere atto della realtà.
La questione è trattata in un reportage di grande interesse pubblicato, lo scorso 2 novembre, sul sito Isarele.net, intitolato “I nuovi problematici amici di Israele: l’eterno dilemma fra interessi e valori”, nel quale sono riportati i commenti di tre analisti israeliani, di diverso orientamento, Moshe Arens, Herb Keinon, Nadav Eyal, di cui sintetizziamo l’essenza del pensiero.
Arens sostiene che non bisogna farsi scrupoli nell’accettare l’aiuto di amici discutibili, in quanto “quando si scelgono gli alleati con cui contrapporsi a un nemico comune è perfettamente legittimo bilanciare interessi e valori. Winston Churchill e Franklin Roosevelt scelsero di allearsi con la feroce dittatura comunista di Stalin nella guerra contro la Germania nazista. Senza la partecipazione dell’esercito sovietico, l’obiettivo sarebbe stato irraggiungibile. Gli interessi nazionali fecero premio sulle pure differenze ideologiche, e fu giusto così”. I “matrimoni d’interesse”, in politica, sono naturali e inevitabili.
Keinon non nasconde il problema della controversa figura di Bolsonaro, ma, ricorda come i precedenti leader brasiliani abbiano sempre praticato una politica apertamente ostile nei confronti dello stato ebraico. Lula, in particolare, ha reiteratamente mostrato verso Israele un atteggiamento di vero e proprio disprezzo, manifestando invece aperta simpatia verso i suoi peggiori nemici, a cominciare dal fanatico e antisemita regime iraniano. Come potrebbe Israele non compiacersi che questi tempi siano passati?
Eyal, per concludere, riconosce che la Realpolitik impone, a volte, delle alleanze scomode, ma invita a non confondere gli interessi con i valori: “Il motivo per cui certi regimi cercano di stringere legami stretti con Israele non deriva soltanto dal fatto che Israele è una nazione di successo economico e tecnologico, e in ottimi rapporti con gli Stati Uniti. L’amicizia con lo stato ebraico serve ad alcuni di questi paesi e ai loro governanti per crearsi una nuova verginità. Ed è proprio per questo che il popolo ebraico deve agire con grande cautela morale: perché gli ebrei perseguitati hanno fatto di tutto per promuovere i valori illuministi liberali. L’obbligo di agire con cautela significa non gettare via, per un tornaconto immediato, qualcosa che ha un valore e un’importanza enormi per Israele, indipendentemente dal Brasile e dall’Ungheria”.
Sono d’accordo con tutti e tre, ma soprattutto con l’ultimo. E richiamo, con amarezza, la frase di Thomas Mann citata nella mia nota di due settimane fa, dedicata al tema dell'”impolitico”: “La politica è una forza terribile”.
Francesco Lucrezi
(7 novembre 2018)