“Dignità e diritti umani,
ancora molto da lavorare”
Celebriamo quest’anno il settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e quello della Costituzione italiana: due documenti fondamentali per la nostra convivenza e per il nostro futuro, fra loro strettamente in sinergia, nella duplice prospettiva nazionale ed internazionale.
Quella celebrazione costituisce un’occasione di riflessione sul significato e sull’attualità sia della Dichiarazione Universale, sia della Costituzione italiana. Alla luce della esperienza di studioso, di giudice e poi di presidente della Corte Costituzionale italiana – garante della Costituzione – mi sembra giusto e doveroso soffermarmi su questa riflessione, incentrandola su un valore fondamentale della Dichiarazione e della nostra Carta Costituzionale: la pari dignità sociale, prevista dall’articolo 1 della prima e dall’articolo 3 della seconda accanto all’eguaglianza, che esprimono il divieto di discriminazione nel godimento di tutti i diritti e tutte le libertà previsti dalla Dichiarazione all’articolo 2, senza distinzione alcuna.
È un valore che riassume in modo efficace il significato della Dichiarazione e della nostra Costituzione; che consente di riflettere non solo sull’attualità, ma prima ancora sul tasso di loro effettiva attuazione nella nostra società. Offre un’indicazione preziosa per il dibattito politico-istituzionale – oggi in corso nel nostro paese – sulla necessità, la opportunità, la possibilità o meno di introdurre modifiche alla Costituzione entrata in vigore il 1 gennaio 1948 e per una riflessione su entrambi i documenti.
La Dichiarazione è il frutto di un lungo percorso, stimolato dalle atrocità verificatesi nel corso dell’ultima guerra c.d. mondiale: il riconoscimento – di elevata importanza teorica e morale – di una serie di princìpi internazionali universalmente riconosciuti. Essi costituiscono la premessa per ulteriori riconoscimenti internazionali caratterizzati da una rilevanza giuridica e da una tutela rafforzate, come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che prevede altresì l’istituzione di una Corte giurisdizionale europea a loro difesa.
La Dichiarazione Universale nasce nel 1941 dal riconoscimento delle quattro libertà essenziali: dal bisogno, dalla paura, di stampa, di religione. Su di esse si sviluppano le altre libertà che confluiscono nella Dichiarazione, proclamata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
Non è una semplice e retorica proclamazione di intenti; né è, al contrario, uno strumento di predominio di popoli forti, contrastante con l’indipendenza di popoli deboli. È invece la registrazione di un impegno degli stati che aderiscono alla Dichiarazione, per il riconoscimento dell’eguaglianza e della dignità di tutti gli individui; per la promozione e il rispetto di eguali diritti e libertà; per la proclamazione analitica di quei diritti e libertà essenziali, svincolati da qualsiasi discriminazione, relativi a tutte le manifestazioni della personalità.
Sono diritti, così come la dignità, riprodotti nella quasi totalità nelle più recenti Costituzioni degli stati europei, fra cui la Costituzione italiana, contestuale alla Dichiarazione Universale.
La Costituzione è il frutto di un dibattito politico appassionato e di altissimo livello fra tre grandi correnti politiche e ideali, di ispirazione cattolico-democratica, social-comunista e liberal- democratica. Esse sono confluite – con un’amplissima maggioranza – nel “compromesso elevato” della Costituzione, realizzato (tra il 2 giugno 1946 e il 31 dicembre 1947) dall’Assemblea Costituente che venne eletta con il compito di scrivere la nuova Costituzione in occasione del referendum con cui il popolo italiano scelse la Repubblica. Quelle stesse forze politiche avevano prima dato corpo alla lotta contro il nazifascismo, a partire dal settembre 1943, dopo l’armistizio dell’Italia con le potenze alleate (ivi compreso il contributo della Brigata ebraica dell’Esercito britannico) a seguito di una guerra voluta e poi perduta dall’Italia nel 1943.
Rispetto al passato, la Costituzione ha significato il rifiuto di ciò che il fascismo aveva incarnato: la compressione delle libertà civili e politiche e del pluralismo politico, il totalitarismo statale, il bellicismo, il razzismo. È espressione del “patriottismo condiviso” nato dalla Resistenza e dalla lotta per la liberazione dal nazifascismo.
Rispetto al presente (e al futuro), la Costituzione ha definito nella premessa e nella prima parte i princìpi fondamentali ed i diritti e doveri dei cittadini: un impegno comune, nonostante le differenze politiche, ideologiche e culturali presenti all’interno dell’Assemblea costituente. Essa ha poi tracciato nella seconda parte l’assetto delle istituzioni del nostro paese e l’equilibrio fra loro.
I principi democratico, lavorista, personalista, pluralista, di solidarietà, di uguaglianza, di pari dignità sociale, di laicità e pacifista – sui quali si fonda la nostra Costituzione e nei quali si radicano i diritti ed i doveri che essa prevede e riconosce – sono il patrimonio di tutti. Esprimono la realtà inalienabile che costituisce la base della condizione umana; riflettono la previsione dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Dichiarazione Universale.
Sono principi profondamente attuali di fronte alle contraddizioni ed alle inquietudini originate dalla globalizzazione; il tempo non ne ha indebolito il significato. Da un lato, la loro formulazione consente di includere valori nuovi rispetto al momento del loro riconoscimento (come la privacy, l’ambiente, l’adesione alla prospettiva sopranazionale europea ed il riconoscimento della concorrenza e del mercato). Dall’altro lato, l’esasperazione della dimensione economica e del mercato, caratteristica della globalizzazione, giustifica ampiamente l’ottica “sociale” di tutela della persona e del lavoro, che è propria della nostra Costituzione (basti pensare, ad esempio, allo scandalo attuale e ricorrente delle morti sul lavoro e del “lavoro nero”, o alla disoccupazione).
Le poche rughe che la Costituzione ha mostrato con il passare del tempo si trovano nella sua seconda parte, relativa all’ordinamento della Repubblica. Tuttavia, ogni dibattito sulla revisione di questa parte deve avere fondamento nella consapevolezza che le due parti della Costituzione sono strettamente legate; ogni modifica del patto costituzionale richiede un accordo ampio, al di là di qualsiasi contrapposizione politica, perché la Costituzione non può essere modificata a colpi di maggioranza.
Per avviare una riflessione sulla pari dignità sociale – con la quale la Costituzione specifica il richiamo della Dichiarazione Universale alla dignità – come premessa dei diritti fondamentali e come momento qualificante ed essenziale della persona umana, occorre muovere da una constatazione preliminare.
Il secolo diciannovesimo era stato segnato, nella sua apertura, dall’irrompere dei diritti fondamentali sulla scena della convivenza, quanto meno a livello della loro proclamazione; sia pure affidandoli alla sola prospettiva statale per la garanzia, l’attuazione, l’effettività.
La seconda guerra mondiale ha visto irrompere sulla scena la dignità, come fondamento e denominatore essenziale dei diritti umani. Ha vissuto il passaggio dalla prospettiva statale e nazionale a quella universale e globale di essi, con la novità rappresentata dalla presenza degli individui, accanto agli stati, come protagonisti del diritto internazionale.
Da un lato abbiamo sperimentato in modo devastante l’insufficienza delle sole prospettive statali di tutela per i diritti umani: una insufficienza dimostrata drammaticamente dalle degenerazioni dello stato totalitario e della sua ideologia assolutizzante. La Shoah; la perversione dell’ordine nuovo che si voleva instaurare in Europa; la via dei campi di sterminio; la guerra totale con il pieno coinvolgimento delle popolazioni civili hanno segnato in modo drammatico la fragilità della precedente collocazione dei diritti umani in una chiave soltanto statale.
Il “crogiolo ardente” della guerra – come ebbe a definirla uno dei padri costituenti più autorevoli della nostra Costituzione, Giuseppe Dossetti – fu occasione per una affermazione quasi corale ed esplicita della dignità: sia a livello di costituzioni nazionali, sia a livello di dichiarazioni e proclamazioni sovranazionali (dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo alla Convenzione europea per la salvaguardia di essi; da ultimo alla Dichiarazione sui diritti fondamentali nell’Unione europea).
Da un altro lato, l’insufficienza della prospettiva di tutela statale dei diritti fondamentali trova conferma nell’indebolimento delle sovranità statali di fronte alla logica – anch’essa totalizzante – del mercato e del profitto, ed alle sue lacune per il rispetto della persona umana. Di fronte alla realtà ed alla crisi del mercato, la dignità rappresenta l’espressione più puntuale ed efficace della loro universalità; della loro indivisibilità fra diritti civili e politici, sociali ed economici; della esigenza di effettività dei diritti umani. Non basta proclamarli, ma occorre anche attuarli e difenderli.
I limiti, le incongruenze, gli squilibri di una globalizzazione dell’economia e della rete, cui non si è saputo accompagnare la globalizzazione dei valori e delle regole, sono troppo noti per doverli richiamare. È sufficiente guardare alle dimensioni ed alle conseguenze della crisi globale (prima finanziaria, poi economica, poi sociale) che stiamo vivendo. L’impatto di quella crisi sulla dignità umana (a cominciare dalla crescita e dalle dimensioni di una povertà e di una disoccupazione che sono fra i primi attacchi dirompenti alla dignità) è il prezzo che la dignità deve pagare a causa delle aggressioni ad essa per intolleranza, razzismo, terrorismo e violenza globale e glocale; nonché a causa della tentazione contrapposta di difendere la sicurezza a tutti i costi, con il ricorso alla tortura, ad Abu Grahib, a Guantanamo.
È possibile cogliere – nell’affermazione esplicita del valore fondante della dignità, in sede di costituzioni nazionali e di dichiarazioni sovranazionali del dopoguerra – un primo ed essenziale significato.
La dignità è un ponte rispetto ad un passato che non si vuole dimenticare, ma si vuole rinnegare esplicitamente attraverso l’impegno ad impedire il ripetersi dei suoi errori ed orrori. È una prospettiva importante sotto un duplice profilo ricordare quel passato; farne memoria (che appartiene anche alla sfera del cuore) e non soltanto storia (che appartiene soprattutto alla sfera dell’intelletto); avvalersi di quel ricordo non soltanto in quanto memoria condivisa e componente essenziale della propria identità, ma anche come ammonimento per un presente ed un futuro che si vogliono diversi.
Dopo le solenni proclamazioni di rifiuto degli annichilimenti della dignità, che avevamo sperimentato in occasione della seconda guerra mondiale, ci siamo dovuti nuovamente e più volte confrontare con violazioni dei diritti umani su larga scala. Nulla è meno drastico, meno definitivo e più smentito del “mai più”, con cui si è soliti accompagnare la condanna delle violazioni dei diritti umani e delle offese alla dignità.
Ma la dignità è anche un ponte verso le inquietudini e le paure del presente e del futuro: basta pensare agli orizzonti aperti dalle conquiste della tecnica e dal progresso scientifico; Accanto a soluzioni nuove e positive, il tema della bioingegneria e delle manipolazioni genetiche apre scenari inquietanti per l’integrità e l’identità individuale; propone una serie di variazioni sui ai temi della selezione eugenetica, del razzismo e della pulizia etnica; nuove e più sofisticate rispetto alle atrocità del passato.
Basta pensare, alla logica preminente del profitto, alla possibilità di una commercializzazione selvaggia del corpo umano, in tutte le sue componenti materiali e immateriali. È resa possibile dagli strumenti tecnologici, e disinteressata a qualsiasi pur minimo rispetto della dignità che deve accompagnare quel corpo dalla nascita alla morte e dopo di essa.
Ancora, basta pensare alle dimensioni del mercato; alla illusione sulla sua capacità di autoregolazione e di contemperare diversi e contrapposti interessi in gioco. È difficile la compatibilità fra la logica del mercato e gli obiettivi e le esigenze dello sviluppo sostenibile, del rispetto dell’ambiente, dell’equilibrio nell’utilizzo delle risorse, dell’eguaglianza e della dignità umana: sia per la sorte dei singoli; sia per quella delle nazioni.
Basta pensare ai problemi che le alle nuove possibilità di gestione e trasmissione della conoscenza e dell’informazione pongono, per il rispetto della dignità umana, sotto molteplici profili. Al loro sfruttamento commerciale, spinto all’estremo, si accompagnano il timore di dover pagare un prezzo troppo elevato; il ricorso (sempre più agevole e diffuso) a tecniche di trasparenza totale, che possono cancellare qualsiasi spazio di intimità e di privacy per il singolo; l’uso di tecniche di manipolazione dell’informazione, che riducono o escludono la capacità di informazione del singolo, e quindi quella di scelta e di autodeterminazione; la diffusione e la strumentalizzazione delle fake news.
Infine, basta pensare all’intolleranza, alla violenza globale, al fanatismo, al terrorismo globale e glocale in cui è immersa buona parte del nostro pianeta; alle premesse e alle cause di quel contesto (miseria, fame, sfruttamento e guerra). Basta pensare alla inquietante prospettiva di attenuare – in nome delle esigenze di sicurezza – le tradizionali soglie di tutela dei diritti fondamentali (alla vita, alla libertà personale, al silenzio, alla difesa, alla presunzione di innocenza e così via).
Considerare la dignità umana come un ponte tra il passato e il futuro consente di sottolinearne la perenne attualità, il costante divenire e al tempo stesso la immutabilità e stabilità. La dignità è espressione del valore della persona, con le sue caratteristiche peculiari e irrinunciabili di identità e di diversità nell’uguaglianza e nella libertà. Sono caratteristiche in se immutabili. Ma sono calate in una realtà in continua evoluzione, che evidenzia sempre nuove e diverse possibilità di offesa; nuove e diverse esigenze di tutela; nuove e diverse prospettive di affermazione della dignità.
Quest’ultima è sempre uguale e sempre suscettibile di aggressioni fra loro diverse. È punto di riferimento costante del valore della persona, della sua centralità, del suo ruolo irriducibile ed immutabile. Su di essa si fondano e si sviluppano diritti che sono sempre nuovi nel modo di porsi e di essere tutelati; ma sono costanti nel loro contenuto di dignità.
La dignità umana come premessa di tutti i diritti fondamentali è largamente condivisa. L’evoluzione del contesto ambientale ed il progresso scientifico e tecnico alimentano incessantemente la domanda e il riconoscimento di nuovi diritti, quali quelli c.d. di terza e di quarta generazione. Si pensi, per tutti, al diritto all’ambiente, al territorio, allo sviluppo sostenibile, alla “qualità della vita” e così via. Se mai, v’è da restare perplessi di fronte alla constatazione che al riconoscimento dei nuovi diritti, troppo spesso, si accompagna l’indifferenza per la violazione dei diritti fondamentali più classici e tradizionali; primo fra tutti quello alla vita, all’acqua, al cibo, alla salute, in estese zone della terra.
Il riferimento (implicito) della Dichiarazione Universale e (esplicito) della Costituzione alla “pari dignità sociale”; quello di entrambe al divieto di qualsiasi discriminazione sono estremamente importanti. Essi indirizzano ad un concetto di dignità legato all’eguaglianza; ad un valore comune a ciascuno ed a tutti, in quanto persone; non già ad un concetto di dignità (penso ai “dignitari” per censo o per ruolo) che si risolva in diseguaglianza e discriminazione.
La dignità è vista – nella Dichiarazione e nelle tradizioni costituzionali europee – come valore ultimo e fondante della persona (di ogni persona e di tutte le persone); come clausola che ne riassume le caratteristiche e le qualità; come canone interpretativo. È concretizzata e riempita di significati, volta a volta, attraverso l’elaborazione giurisprudenziale sia nazionale, sia comunitaria, sia convenzionale (delle Corti di Giustizia e dei Diritti dell’Uomo).
Fra gli spunti più significativi dell’elaborazione soprattutto giurisprudenziale sulla dignità, vanno ricordati il valore oggettivo di indisponibilità e di irrinunciabilità attribuitole; il suo legame con la libertà e con l’autonomia di decisione della persona; il suo esprimersi in termini di concretezza, legata alla realtà dei rapporti, alle disuguaglianze di fatto, alle differenze che incidono sulla libertà di scelta e sull’autonomia delle persone.
Alla dignità ed alle sue potenzialità si riconduce la capacità di fondare tutti i diritti, pur con la consapevolezza della sua difficoltà ad essere assoggettata ad una definizione astratta. Insomma, la dignità è vista come un attributo naturale, intrinseco dell’uomo, che non può essergli levato o limitato; vale a concretizzare i diritti – di libertà sia civili e politici, sia sociali ed economici – attraverso cui si esprime la sua personalità.
La pari dignità sociale, in quanto fondamento della eguaglianza, per un verso richiede di garantire a tutti le stesse possibilità di sviluppo. Per un altro verso, si specifica nel divieto di discriminazioni. Sotto questo profilo, il tema della dignità offre ampio spazio alla necessità di rafforzare la tutela dei soggetti deboli e della loro dignità; e a quella connessa di garantire il diritto alla diversità, che è espressione dei princìpi costituzionali fondamentali del pluralismo e del personalismo.
Si deve evitare da un lato che la diversità si risolva in discriminazione; dall’altro che l’eguaglianza si risolva in assimilazione forzata. Sono rischi particolarmente attuali di fronte alla realtà dell’immigrazione e ai problemi drammatici che essa pone in società come quelle europee, che stanno avviandosi alla multietnicità. Soltanto la solidarietà può aiutare a superarli.
La dignità, quindi, non è soltanto un ponte fra passato, presente e futuro; è anche un ponte fra personalismo e pluralismo, fra eguaglianza e diversità, e soprattutto fra eguaglianza e libertà.
L’utilizzo del concetto di dignità può in pari misura rafforzare la sfera dei diritti, soprattutto di quelli sociali, o al contrario restringerla. Può esprimere una elevata tensione sociale, o al contrario banalizzarsi nel richiamo ad esigenze di ordine pubblico. Può ampliare l’autonomia della persona e la sua capacità di decisione e di scelta, o al contrario spingere al conformismo, alla compressione della diversità e del pluralismo. Il rischio che il richiamo alla dignità diventi un pretesto per l’imposizione o quanto meno per la suggestione di modelli dominanti – soprattutto nei confronti di soggetti deboli – è alto.
Il tema del possibile conflitto fra dignità e libertà è assai complesso. Entrambe sono fra loro in una stretta sinergia: non può esservi dignità senza libertà, e viceversa (fermo restando che ovviamente una detenzione ingiusta limita la libertà ma non la dignità). Il concetto di libertà valorizza di più le qualità e le attribuzioni della persona in una prospettiva dinamica;
quello di dignità le valorizza di più in una prospettiva statica; ma entrambi esprimono una realtà unitaria, se pure sotto diverse prospettive.
Tuttavia, il riconoscimento della contiguità e dell’interferenza specifica dei due valori non risolve la possibile alternativa di fondo: se cioè la dignità debba considerarsi attributo della libertà o se al contrario quest’ultima debba considerarsi un attributo della dignità.
Nel primo caso, la garanzia e la tutela della dignità non potranno essere invocate come limite all’autonomia decisionale del singolo. Esso rimane l’unico e ultimo giudice della propria dignità, arbitro della possibilità di rinunziarvi in toto o di sacrificarla in parte, in vista della realizzazione di altri interessi e del rispetto di altri valori.
Nel secondo caso, al contrario, la regola diviene quella della indisponibilità e della irrinunciabilità della garanzia della dignità, almeno entro certi limiti; nonché la regola della necessità di un giudice terzo per decidere non solo dell’equilibrio fra la dignità del singolo e l’esercizio dei diritti altrui, ma anche dell’equilibrio, per il singolo, fra la propria dignità ed altri interessi e valori che egli intenda perseguire a discapito della dignità.
Per risolvere questa apparente alternativa (la dignità in funzione della libertà o viceversa) occorre ricordare che entrambe esprimono un concetto di relazione e quindi di necessaria eguaglianza. Sia la dignità che la libertà richiedono fra loro condizioni di reciprocità: l’una non può esistere senza l’altra; ma la mia libertà si realizza attraverso il limite dell’altrui libertà e viceversa; la mia dignità si risolve nell’altrui rispetto di essa e viceversa.
Da ciò dunque il valore oggettivo, e non esclusivamente soggettivo ed individuale, della dignità. È un valore che attiene all’uomo in quanto tale, quindi alla sua eguaglianza con tutti gli altri uomini; non soltanto alle sue caratteristiche e prerogative di individuo, in una prospettiva di disponibilità esclusiva.
Da ciò il limite alle possibilità di espansione della libertà del singolo a discapito della libertà altrui e della dignità di tutti e di ciascuno, compresa la sua; purché, beninteso, autonomia e diritti individuali da rispettare si riconducano a una matrice comune di eguaglianza, di valori e di dignità comuni ed eguali. Ma quest’ultimo progetto apre la via ad ulteriori problemi ed interrogativi sul significato e sui limiti della dignità che esulano, per ragioni di tirannia del tempo, dall’ambito della presente riflessione.
Il rifiuto di un orizzonte soltanto individuale, e il riconoscimento del significato della dignità in termini di relazione paritaria con gli altri consentono di cogliere meglio le potenzialità di essa, nel suo rapporto con la solidarietà. Non vi può essere soluzione di continuità fra dignità, eguaglianza, libertà e solidarietà, nei termini in cui tale sequenza è posta, ad esempio, sia dalla Costituzione italiana che dalla Carta europea dei diritti fondamentali.
La dignità inerisce all’uomo non già come singolo, nel vuoto della sua solitudine, ma come persona inserita nel sociale che si realizza nel rapporto con gli altri, ad un tempo eguali e diversi da lui. A fronte della specificità e delle diversità di ciascuno, non può esservi eguaglianza (e quindi pari dignità) senza solidarietà; solo quest’ultima è in grado di superare la diversità nella prospettiva dell’eguaglianza.
La dignità, perché fonte di diritti, lo è al tempo stesso di doveri nei termini che vengono proposti sia dall’art. 2 della Costituzione italiana, sia dall’art. 34 della Carta europea dei diritti. Il primo, attraverso il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo e la richiesta di adempimento ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale; il secondo, attraverso l’ e di impegno alla lotta contro l’esclusione sociale e la povertà, ed attraverso la garanzia di un’esistenza dignitosa per chi non disponga di risorse sufficienti.
Sotto questo profilo la solidarietà è espressione di attenzione verso le categorie ed i soggetti deboli, in vista degli obiettivi – entrambi altrettanto importanti – di eguaglianza e di coesione sociale. È essenziale per l’attuazione effettiva della dignità, intesa come un diritto e al tempo stesso come un dovere per tutti e per ciascuno. In tal senso assumono un particolare rilievo l’affermazione – accanto all’eguaglianza formale – della pari dignità sociale e quella connessa sul compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli e le limitazioni alla libertà ed all’eguaglianza.
Concludendo, la dignità individua l’essenza e l’identità dell’uomo, in quanto tale. Senza di essa non può esservi né eguaglianza né libertà; è il presupposto della relazione con l’altro e del riconoscimento reciproco; garantisce – nell’eguaglianza che nasce dalla comune dignità – il rispetto delle diversità e della libertà. Al tempo stesso la dignità garantisce l’impegno, attraverso la solidarietà, ad eliminare gli ostacoli che trasformano le differenze in condizioni di inferiorità e quindi di offesa alla eguaglianza e alla dignità: cioè in coefficienti non già di arricchimento reciproco, attraverso il valore del pluralismo, bensì di discriminazione e di sopraffazione.
Infine, il rapporto fra dignità e solidarietà è essenziale soprattutto di fronte alle innumerevoli situazioni di “minorità” che segnano le nostre società. Sotto questo profilo, la sfida della pari dignità sociale apre la via ad un’altra prospettiva, ad un altro ponte, ad un’ulteriore sfida: quella della solidarietà come ponte fra il pubblico ed il privato e come mediazione tra la rigidità dello Stato da un lato e quella del mercato dall’altro.
È una sfida particolarmente attuale, di fronte alla crisi globale che stiamo vivendo in questi tempi e che accentua le difficoltà nell’adempimento dei compiti già tradizionali del welfare-state; una sfida che richiede coraggio, fantasia e capacità di innovazione rispetto ad abitudini consolidate. Saremo capaci di affrontarla?
Concludendo (con le parole del pastore protestante Martin Niemöller): Quando i nazisti presero i comunisti,
io non dissi nulla
perché non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici
io non dissi nulla
perché non ero socialdemocratico.
Quando presero i sindacalisti,
io non dissi nulla
perché non ero un sindacalista.
Poi presero gli ebrei,
e io non dissi nulla
perché non ero ebreo.
Poi vennero a prendere me
E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.
Per questo occorre guardare alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e alla nostra Costituzione con speranza e con fiducia, come premesse e condizioni indispensabili per la nostra umanità e dignità.
Giovanni Maria Flick
(8 novembre 2018)