JCiak – Lealtà culturale per legge
L’anno nuovo si è aperto con una conferma di cui non si sentiva il bisogno. Dopo essersi distinta per le sue sparate contro Foxtrot di Shmuel Maoz, aver lasciato la cerimonia del premio Ophir perché si leggevano dei versi del poeta palestinese Mahmoud Darwish e aver minacciato di tagliare i fondi allo storico Haifa film festival, il ministro alla Cultura Miri Regev è scesa dalle parole ai fatti. In ballo, una legge sulla “lealtà culturale”. La misura, appena passata in prima lettura alla Knesset, punta – nelle parole dello stesso ministro – a evitare ogni sostegno “a quanti trasformano il palcoscenico e lo schermo in una quinta colonna che insidia i nostri valori e i nostri simboli”.
Proposto da Miri Regev e sostenuto dal ministro delle Finanze Moshe Kahlon, il provvedimento prevede che il governo ritiri i fondi a organizzazioni o eventi che negano la natura ebraica e democratica di Israele; incitano razzismo, violenza o terrorismo; promuovono la lotta armata o atti terroristici contro Israele da parte di gruppi o altri stati; definiscono il Giorno dell’Indipendenza d’Israele come un giorno di lutto; contengono atti distruttivi o denigratori della bandiera o altri simboli nazionali.
Dopo aver definito la legge un serio rischio per la libertà di parola, il procuratore generale Avichai Mandelblit ha dato via libera al voto a condizione di alcune modifiche. Il ministro Regev ha intanto ribadito che la libertà di espressione non è illimitata. Quest’ultima “è per noi una luce guida e un valore centrale dello Stato d’Israele come stato democratico. Proteggere la libertà d’espressione non significa però permettere incitazioni contro lo Stato ebraico e democratico d’Israele”, ha dichiarato.
Centinaia di persone hanno manifestato contro la legge, che ora deve superare altre due letture alla Knesset, davanti alla Cinematheque di Tel Aviv e i laburisti si sono scagliati contro la misura. “Chiedere lealtà nell’arte è un altro passo per silenziare l’espressione e forzare la cultura a diventare portavoce del governo”, ha protestato Tzipi Livni, leader dell’opposizione alla Knesset. “Non c’è cultura se è controllata dal governo, solo propaganda”.
Una condanna ancora più secca è arrivata da Meretz, che ha accusato Regev di voler diventare “censore capo e capo della polizia del pensiero, lavorando non per la promozione della cultura ma per la soppressione della libertà creativa e di pensiero”.
Malgrado il sindaco di Tel Aviv Ron Huldai si sia impegnato a sostenere le arti pescando dai fondi municipali, per il cinema israeliano si stanno preparando tempi molto tristi.
Daniela Gross
(8 novembre 2018)