Pagine Ebraiche, il dossier
Freud, il signore degli anelli
Sigmund Freud usava donare ai suoi allievi migliori degli anelli. Un gesto forse un po’ eccentrico ma che apre un’interessante finestra su uno dei personaggi più influenti della storia moderna. A raccontarlo una mostra al Museo d’Israele a Gerusalemme, incentrata proprio sugli anelli di Freud, protagonista anche
al Museo ebraico di Parigi. Molto ancora dunque si può scoprire sul padre della psicanalisi, come raccontano le pagine del dossier “Il signore degli anelli” curato da Ada Treves sul numero di Pagine Ebraiche di novembre in distribuzione.
“In che misura la psicoanalisi può essere considerata una scienza ebraica? In che misura Freud è rimasto un ebreo – non praticante ma vicino al giudaismo – non avendo mai rinnegato né suo padre, né la Torah, né ancor meno il Talmud? Apparteneva a una generazione, quella della fine del XIX secolo, il cui ideale rimaneva quello dell’assimilazione e dell’illuminismo ebraico della Haskalah. E anche se aveva intrattenuto una lunga corrispondenza con Herzl, il padre del sionismo, non ne aveva mai condiviso gli ideali”.
È cercando di rispondere a queste domande che Jean Clair ha risposto alla sfida propostagli da Paul Salmona, direttore del Musée d’art e d’histoire du Judaïsme di Parigi: a sua volta figura d’eccezione, il grande critico considera inseparabili le diverse discipline, e in ogni mostra da lui curata ricostruisce un modo di vivere, una maniera di sentire, il pensiero di un’epoca. La mostra “Sigmund Freud. Dallo sguardo all’ascolto”, aperta fino a febbraio 2019, è un racconto della storia e del pensiero del padre della psicanalisi, ma anche un ritratto di Vienna tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. Nonostante si dichiarasse materialista e sostenesse che in nessun modo bisognasse considerare la psicanalisi una scienza ebraica era legato e influenzato profondamente dall’ebraismo, di cui sapeva molto più di quanto dichiarasse, come hanno mostrato molti studi recenti. Molta attenzione nella mostra è data al suo rapporto con le immagini: nonostante la passione di Freud per l’arte, la psicoanalisi è cresciuta nell’assenza di rappresentazioni visive, basandosi esclusivamente sulla parola e sull’ascolto, in continuità con l’eredità di Mosè, come spiega Clair: “Ho cercato di illustrare il suo rapporto con l’immagine in quattro tappe successive. Premesso che Freud vive in un ambiente saturo di immagini – le case viennesi di fine secolo sono piccoli musei gremiti all’inverosimile di quadri, fotografie, oggetti – la prima tappa è quella consacrata a Freud neurologo, che moltiplica schemi, diagrammi, illustrazioni cifrate nel tentativo di spiegare il funzionamento del cervello”. La seconda racconta il viaggio a Parigi del 1885, quando entra in contatto con il “Grand-Guignol” con i suoi spettacolari casi di isteria. Poi ci sono la raccolta di immagini antiche, che Freud colleziona con l’idea che tutte svelino il substrato psichico dell’individuo, attraverso le raffigurazioni degli stessi miti, per arrivare alla quarta tappa, in cui le immagini rispondono ormai a un’esigenza estetica. La sua fascinazione per l’arte non corrisponde a una vera comprensione, saranno i suoi discepoli a portare avanti un nuovo approccio, prescindendo dall’analisi formalista.
Molto diversa la mostra aperta fino a marzo 2019 all’Israel Museum di Gerusalemme, nata dalla curiosità e dalle ricerche di una giovane curatrice: “Freud of the Rings” – Freud degli anelli – è il seguito del ritrovamento di una scatoletta di cartone su cui era scritto solo “Freud Nike”. Vi si trovava un anello con incastonata una pietra che raffigurava la dea della vittoria, appartenuto a Eva Rosenfeld, paziente di Freud e a sua volta psicanalista. Dopo la rottura del 1912 con Carl Gustav Jung, suo discepolo e sino ad allora suo erede, Freud aveva fondato un Comitato segreto composto dai suoi più prossimi e fedeli collaboratori. Karl Abraham, Sándor Ferenczi, Otto Rank, Ernest Jones e Hanns Sachs, membri del comitato, rappresentanti della teoria psicoanalitica pura, furono i destinatari dei primi anelli. L’Israel Museum ne espone sei, ma sono una ventina quelli che anche in seguito Freud donò in segno di riconoscenza e di stima, con un preciso significato simbolico, a dare un segno tangibile di appartenenza a un gruppo che non era segreto ma certamente condivideva uno stesso centro di gravità. Un oggetto concreto, che contiene un’immagine simbolica ma, come ribadisce Jean Clair, per Freud era chiara la priorità data all’ascolto, che insieme al modo di conferire significati profondi alle parole ricorda quella saggezza talmudica a cui Freud aveva fatto ritorno nei suoi ultimi anni di vita. “È ciò che avvicina non poco la psicanalisi a un tipo di spiritualità ebraica e ad un certo modo di leggere, ascoltare e interpretare le parole. La psicoanalisi comporta un passo indietro a favore del silenzio e dell’ascolto”.
(8 novembre 2018)