Pagine Ebraiche e i divisivi
Dal mio punto di vista di ebrea periferica, che ha poche occasioni di confrontarsi faccia a faccia con gli appartenenti ad altre Comunità, ho trovato estremamente interessante l’incontro di venerdì scorso dedicato alla comunicazione nell’ambito degli stati generali dell’UCEI. Impossibile dare conto di tutto ciò che è stato detto, dei numerosi interventi che hanno espresso apprezzamento per Pagine Ebraiche e per il lavoro della redazione, delle critiche che sono state mosse e delle interessanti proposte che sono state avanzate. Vorrei soffermarmi in particolare su un aggettivo che è stato usato: divisivo.
Divisivo è (secondo il vocabolario Treccani) “ciò che crea divisioni o contrapposizioni, impedendo di preservare o di raggiungere un’unità di punti di vista e di intenti”. Una cosa – è stato detto – che l’ebraismo italiano deve assolutamente evitare, e di conseguenza sulle testate dell’UCEI non devono trovar posto articoli “divisivi”. Sono d’accordo. Purché ci si intenda su cosa è divisivo. A mio parere gli articoli divisivi sono quelli che offendono e denigrano altre persone, che non rispettano le opinioni altrui, che diffondono malignità o vere e proprie menzogne sul conto di qualcuno, che rifiutano il dialogo. Ho scoperto invece con un certo stupore e sconcerto che per qualcuno “divisivo” significa “che esprime opinioni diverse da quelle della maggioranza”.
Al di là del fatto che questo modo di intendere le cose mi pare lontanissimo dal pensiero ebraico, confesso che fatico a capire come possa essere applicato in pratica: come fa chi si accinge a scrivere un articolo a sapere cosa pensa la maggioranza degli ebrei italiani per potersi adeguare ad essa? E poi, come si fa a determinare qual è la maggioranza? Bisogna guardare ai risultati delle elezioni comunitarie? Ma io potrei aver votato una persona o una lista perché mi piacevano, per esempio, le sue proposte sulla cultura, sui giovani, su come avvicinare gli iscritti, ecc. e non necessariamente per il suo punto di vista sulla politica italiana o israeliana, per non parlare dei temi su cui quella persona e quella lista non si sono mai espressi.
Con un’impostazione del genere finiremmo per non dire più niente di nuovo o di diverso da ciò che è stato già detto da altri per paura di essere “divisivi”. Non credo che ne uscirebbe un giornale molto interessante.
Anna Segre