Pagine Ebraiche novembre 2018
Rai, risposte e silenzi

In un suo tweet della scorsa primavera ha espresso “disgusto” nei confronti dell’operato del Presidente Mattarella. In diverse altre circostanze ha condiviso contenuti prodotti da figure riconducibili al mondo dell’estrema destra. Tra gli altri Maurizio Blondet, più volte segnalato sull’Osservatorio antisemitismo del Cdec per le sue intemperanze. Intervistato dall’autorevole quotidiano israeliano Haaretz, ha poi dichiarato che i parlamentari europei del Partito Democratico sarebbero stati finanziati niente meno che da George Soros, il filantropo ebreo preso a bersaglio dai sovranisti e antisemiti di mezzo mondo.
L’uso disinvolto dei social network e alcune dichiarazioni arrischiate e controverse hanno fatto di Marcello Foa, il nuovo presidente della Rai, il bersaglio di molte critiche. E i contenuti dell’anticipazione di alcuni elementi di questa intervista sul notiziario online Pagine Ebraiche 24 hanno suscitato ferme reazioni di molti. In questo numero del giornale, fra l’altro, nell’area Opinioni a confronto, gli storici Anna Foa e Gadi Luzzatto Voghera intervengono senza mezze misure per denunciare le ambiguità che aleggiano attorno al nuovo presidente della Rai. Problemi aperti su cui Pagine Ebraiche ha provato a ottenere una rassicurazione. “Di questi argomenti preferisco non parlare, penso di aver già chiarito a sufficienza” risponde però cortesemente l’intervistato.
“Su di me – sostiene – è stato scritto di tutto e spesso con una violenza verbale che altri con spalle meno larghe delle mie non avrebbero saputo affrontare. Sono stato dipinto come un mostro. Si è voluta attaccare e distruggere la mia reputazione per via di alcuni tweet. Chi mi conosce sa quanto ciò che è stato raccontato sia lontano dalla realtà. E quanto io ponga al centro di tutto la dignità e il rispetto della persona, qualunque sia la sua opinione. Una lezione che ho appreso anche del ramo ebraico della mia famiglia, storicamente radicato in Piemonte. Origini in cui mi riconosco e di cui vado orgoglioso”.
Foa apre le porte del suo ufficio al settimo piano di Viale Mazzini. Sono giorni delicati, il toto nomine impazza. Lui appare sereno. “Lo scopo che andrà perseguito per la Rai – sottolinea – dovrà essere in linea con le aspettative qualitative e professionali riposte in me. A prescindere dagli orientamenti dei singoli, posso comunque garantire che mi farò garante di un impegno: promuovere meritocrazia e rinnovamento. La Rai è un’azienda che può e deve dare molto di più al paese, di cui è una delle sue più alte espressioni”.
Una delle prime occasioni pubbliche per parlarne è stata in Israele, il 16 ottobre scorso, all’Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv dove ha tenuto una conferenza su “Manipolazione dei media e fake news”. La sua prima conferenza all’estero da quando è presidente Rai.
È un invito che mi è arrivato prima della nomina e congiuntamente dall’ambasciata italiana e da quella svizzera, su temi che mi sono cari e di cui ho scritto anche nei miei libri. Parlarne in Israele, paese cui sono legato da straordinari incontri e personaggi, lo considero un po’ un segno del destino. Ci sono stato diverse volte da giornalista, avendo tra l’altro l’opportunità di intervistare Yitzhak Rabin a poche settimane dall’attentato in cui rimase ucciso. Con me c’era la collega Simonetta Della Seta, allora corrispondente nella mia redazione del Giornale. Israele, comunque, per me è soprattutto Vittorio Dan Segre. Una firma indimenticabile, ma anche e soprattutto una persona dall’umanità e dalla spiritualità profonde. Tra noi c’è stata un’amicizia intensa.
Nata esattamente quando?
Ai tempi in cui al Giornale fui nominato vicecapo e poi capo degli Esteri. Vittorio Dan Segre era il nostro analista di punta. Io avevo meno di 30 anni, lui viaggiava verso i 70. Diventammo amici. Fino all’ultimo il nostro percorso comune è stato molto bello, da un punto di vista professionale ma non solo. È stato lui infatti a introdurmi alla cultura della Kabbalah, in cui trovava un appagamento e una risposta ai suoi dilemmi interiori. Ed è stato grazie a lui, ai suoi scritti ma anche a quelle indelebili conversazioni, che mi sono avvicinato ancora di più alla realtà di Israele. È stata una gran fortuna poter condividere i momenti salienti della storia di questo giovane Stato attraverso la testimonianza di un suo protagonista.
È stata anche un’occasione per approfondire la radice ebraica della sua famiglia?
Certamente: è un qualcosa che sento e sempre sentirò come parte della mia vita pur non essendo io ebreo. La famiglia, nelle generazioni precedenti, orbitava principalmente a Cuneo. Fu il bisnonno, approfittando di un salvacondotto concesso dall’Impero Ottomano, a recarsi in Egitto. Lì nacque mio nonno, lui sì ebreo, cui fu dato il nome celebrativo di Egizio. E in Egitto sono nati anche i miei genitori. Sotto Nasser, in un clima di odio crescente, fu presa la decisione di tornare in Italia. Una decisione purtroppo inevitabile.
Oltre agli scritti di Dan Segre quale altra lettura l’ha influenzata?
Ho sempre letto molto, sia su Israele che su temi ebraici. E appena avrò completato il trasloco penso che in quest’ufficio se ne avrà un segno evidente. Comunque, a parte i tre grandi classici Yehoshua, Oz e Grossman, ho sempre cercato di mettere a fuoco una figura per me fondamentale come quella di David Ben Gurion. L’esperienza di Segre, che al suo fianco ha condiviso momenti e decisioni epocali, è stata un arricchimento decisivo. Israele ha in me un amico sincero e consapevole. E sincero proprio perché consapevole del suo ruolo e della sua specificità.
Torniamo alla Rai. La puntata di Ulisse dedicata al rastrellamento nazista del 16 ottobre ha suscitato forte emozionalità e un consenso trasversale. Ha avuto modo di vederla? Che ne pensa? Cosa significa per lei e che valore ha la Memoria? Che cosa potrà fare l’azienda per tutelarne il valore vivo?
La Rai è impegnata da tempo nella difesa della Memoria. Il successo della trasmissione di Angela dimostra come il pubblico risponda bene quando incontra una narrazione autentica, intensa, né retorica né banale. Non era scontato e sono il primo a compiacermene. La Memoria ci aiuta a combattere e a prevenire gli orrori della Storia, dunque a costruire un mondo migliore.
Che ne pensa di Steve Bannon? È vero che ha una certa confidenza con lui?
Ho avuto modo di incontrarlo la scorsa primavera in due circostanze. Di Bannon, uno spin doctor atipico perché protagonista in prima linea, ho apprezzato la sua capacità di giudizio fuori dal comune e le critiche che in passato ha mosso a certe degenerazioni provocate dal mondo finanziario. Un genio della comunicazione artefice della vittoria di Trump, ma anche un personaggio complesso. Lo conosco comunque troppo poco per dare un giudizio completo.
Da molte parti si ha l’impressione che il giornalismo italiano sia sotto attacco. Lei che ne pensa?
La stampa ha una funzione essenziale nella nostra società, fondamentale per la vita e il futuro di una democrazia. La mia sensazione però è che vada recuperato il rapporto di fiducia con i lettori, spesso incrinato anche dall’incapacità dei giornalisti di capire quando la comunicazione è usata nell’ambito delle guerre asimmetriche o ibride. Tema complesso che cerco di affrontare nei miei corsi universitari. Inoltre troppo spesso la stampa diventa parte della battaglia politica, con conseguenze anche gravi. Sono state distrutte intere reputazioni, si sono messe alla berlina persone che non lo meritavano. Ci vorrebbero, penso, maggior correttezza e prudenza.

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche novembre 2018

(11 novembre 2018)