Oltremare – Sereni
Sulla traslitterazione dei nomi italiani in ebraico ci sarebbe da scrivere una commedia. Quando la cosa si riflette soltanto sul riconoscere il proprio nome quando qualcuno lo dice ad alta voce in un ufficio pubblico chiamando il prossimo in fila, la cosa è ancora nei margini della dislessia ambientale causata dall’assenza delle vocali e della duplicitá di lettura di alcune consonanti nell’ebraico scritto. Da anni ho imparato a rispondere “eccomi!” di fronte a qualunque variazione fra Povini, Puvini, Pubini, Fovini e via dicendo. Quando però mi sono trovata per caso in via Enzo Sereni, in uno di quei luoghi di Tel Aviv in cui attraversando una strada per magia si esce senza saperlo dalla città e si entra in una cittá limitrofa, in questo caso Givataim, come prima cosa ho seriamente pensato che qualcuno si fosse voluto divertire. Sono riusciti a scrivere un nome relativamente breve e semplice in modi fantasiosi e non coerenti, su cartelli stradali che qualcuno ha scritto, qualcun altro ha approvato, qualcun altro ancora ha stampato, e qualcuno ha infine appeso o montato su pali. Il tutto lungo una stradina lunga poche centinaia di metri e con pochi incroci con altre piccole strade, in cui guardando una scritta la successiva è visibile in successione, ma è diversa. Enzo, Anzo, Serni, Sarni. Ora per me (e per molti ebrei italiani) Enzo Sereni non è solo un nome. Abbiamo letto libri e ascoltato dai parenti storie su di lui. Anche grazie al “Gioco dei regni” di Clara Sereni, è quasi un parente lontano anche lui, qualcuno di casa, anche se non lo si è conosciuto di persona. Chissà cosa penserebbe di questa moltiplicazione del suo nome. Probabilmente nulla: persone come lui, che hanno costruito questo paese con le proprie mani, e lo dico fuor di qualunque metafora, badavano al sodo.
Daniela Fubini
(12 novembre 2018)