In exitu

torino vercelliQuesta è l’età delle passioni tristi, del risentimento, soprattutto della mancanza di futuro. Non è vero che non ci sia dato un tempo a venire ma viviamo come se fosse altrimenti. Forse il senso del tempo ci manca perché abbiamo rarefatto quello dl Tempio. Va da sé che lo stato di una comunità, in questo caso non solo locale o nazionale ma addirittura continentale, nel momento in cui manifesta soprattutto il suo disagio, non sia solo il prodotto di umori e sensazioni ma anche di concreti disagi, vissuti materialmente ogni giorno. Tuttavia, nella rabbia che accompagna le espressioni risentite di chi si sente escluso da “qualcosa” per colpa di “qualcuno”, si cela un di più del solo riscontro delle difficoltà con le quali deve confrontarsi ogni giorno. Ci sentiamo spesso, sempre più spesso, abbandonati a noi stessi. Magari guardiamo con distanza, se non con calcolato sospetto, quelle istituzioni collettive quand’esse si rivolgono a noi. Ma senza il loro riconoscimento e la loro protezione, ci accorgiamo di essere fragilissimi. Più ancora delle tumultuose trasformazioni economiche di questi ultimi anni, e quindi dei loro spiazzanti effetti, ciò che forse sta pesando tantissimo è la perdita di autorevolezza di quei corpi intemedi, istituzionali e non, che – invece – dovrebbero farci sentire cittadini a pieno titolo. Non basta denunciare la distanza delle élite, come invece vanno facendo i movimenti populisti, evidentemente aspirando a sostituirsi ad esse. Così come non è sufficiente accusare le pur evidenti discrasie economie, a partire dalla crescente diseguaglianza che colpisce, in Europa, soprattutto il ceto medio. Poiché ciò che oggi è sottoposto a una potente torsione è quel legame sociale, quel vincolo di reciprocità, senza il quale ognuno di noi non solo è più debole ma anche più povero di identità. Non esistiamo per noi stessi, senza gli “altri”. Chi siano poi questi ultimi, dobbiamo capirlo nel cammino della nostra esistenza. Così come gli altri debbono comprendere, passo dopo passo, chi siamo noi. Tutto ciò si chiama “riconoscimento” ed è ciò che costruisce l’identità individuale, della persona, così come quella collettiva, per l’appunto di una comunità. Non nasciamo già formati e costituiti: l’esistenza è un cammino verso il modellare l’uomo, ossia il modellarsi in autonomia ma non in estraneità a ciò che ci circonda. Men che meno in ostilità, quand’anche le cose della vita siano difficili. Questo mi è stato insegnato e questo io restituisco adesso a mio padre, “il Ginio” (come veniva soprannominato), trapassato in questi giorni, affinché la sua rettitudine sia la mia coscienza. Che la sua memoria sia di benedizione per tutti quanti leggono (e anche per i tanti che non lo dovessero fare) queste righe.

Claudio Vercelli

(25 novembre 2018)