Ticketless – Finestre

cavaglionDopo aver tratteggiato, in un precedente volume, la ben diversa storia di Cherasco, Bruno Taricco si conferma adesso, in questo suo lavoro (Il ghetto delle Cherche. Appunti per una storia della comunità ebraica di Carmagnola, Zamorani, 2018), un ricercatore ostinato, poco incline a ipotesi fantasiose. Molto simile ai personaggi di cui narra la storia, sempre alle prese con la vita nella sua talora aspra, ruvida concretezza. Altri costruirebbero castelli in aria, Taricco riferisce ciò che ha trovato.
Le “finestre del ghetto”, già note attraverso la storia della comunità astigiana e i lavori pionieristici di Laura Voghera Luzzatto, o grazie alle pagine autobiografiche di Brofferio, del ghetto di Torino visto dalle finestre limitrofe, pagine purtroppo ancora oggi troppo poco conosciute perché poco accessibili (I miei Tempi, Tip. Nazionale Biancardi, 1859).
Fra le interdizioni dell’antico regime, vi era la norma che imponeva agli ebrei di bloccare le finestre che guardavano la strada principale, con scuri di legno. Taricco con tono discorsivo, ma sempre sorretto dai documenti, spiega la natura di queste strambe controversie, la scelta ad un certo punto inevitabile di ribellarsi, compiuta da Salvador Jona e Abram Laudi. Le autorità si affaticavano a misurare la distanza tra gli edifici e le chiese. Quale fosse il massimo consentito non è dato sapere, contava l’atto del misurare. Non fatichiamo a immaginare i sopralluoghi, di fronte a spettatori da un lato estasiati dall’altro impauriti. Lo scandalo maggiore a Carmagnola investiva la piazza S. Agostino. In capo della piazza verso mezzogiorno si vedeva la chiesa degli Agostiniani, che in facciata “sopra la porta grande”, portava “dipinta in prospettiva l’imagine del Santo Sudario di Nostro Signore, con l’effiggie della Santissima Vergine et altri Santi”. Dalla chiesa di S. Agostino all’angolo della casa abitata da Salvador Jona, c’erano poco più di 60 metri; in più l’alloggio del malcapitato aveva tre finestre che si aprivano “non solo nella publica piazza, ma anche nella strada grande, che viene dalla canonica sovra la piazza”. La stessa cosa succedeva per il piano superiore dove “obliquamente si puo guardare da dette finestre et galleria la porta etchiesa di detto S. Agostino”. Non bastava. La stessa casa aveva poi sulla Contrada Maestra sei finestre al piano nobile e sei al piano superiore, “quatro di dette finestre sono al dirimpetto di quatro finestre del Palazzo comunale della città, due de’ quali servono per la salla del Conseglio, altre due per le scuole” e, siccome la strada in quel punto era larga poco più di sette metri, si correva il richio che Jona potesse vedere o sentire quanto capitava nel palazzo comunale. Una vicenda surreale, che si ripete per altri nuclei famigliari. Un capitolo drammatico nella storia delle “case degli ebrei”. Sarebbe piaciuto al compianto Michele Luzzati, primo storico della comunità carmagnolese, per una vita intera legatissimo alla sua “petite patrie”.

Alberto Cavaglion

(28 novembre 2018)